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Un poeta dimenticato
da "Storie di vita vissuta"

 

 

Anni fa m'era capitato di scrivere di Vittorio Sgarbi, di cui sostenni che fosse difficile volergli bene giacché tutto il bene possibile se lo voleva già lui da solo.

Ora, nel caso di Sergio Endrigo, siamo agli antipodi, lui aveva l'aria di volersi così poco bene che in molti avevano tutto lo spazio per amarlo. Certo, ad amarlo avrebbe dovuto essere una persona che gradisce più l'autunno della primavera, i giorni di pioggia più dei tramonti infuocati, che preferisce il lago al mare, la solitudine alla compagnia.

Il silenzio, il pudore della scontrosità erano la sua cifra di lettura. Pur avendo avuto successo e grande talento musicale, viveva lontano dai riflettori e prendeva le distanze dai rotocalchi. Non faceva notizia, ma era un grande poeta. Forse, chissà cosa avrebbe dato per essere ovunque e cavalcare le sue affermazioni, quei momenti di trionfo che sconvolgono la testa nell'ambiente artistico anche di chi il trionfo non se lo merita. Magari Endrigo avrebbe desiderato a un certo punto sbottare e lanciare un urlo da far impallidire quello di Munch. Quello di Munch, in confronto, sarebbe stato un innocuo sbadiglio.

Eppure a questo testimone della tragedia istriana, un fiore straordinario nato in una serra sbagliata, dobbiamo il primo vero tributo di modernità alla musica leggera del dopoguerra, dobbiamo un salto di qualità storico: il passaggio da canzonetta a poesia, da banale spensieratezza a impegno artistico, significativo, crudo e penetrante. A lui dobbiamo il primo micidiale attacco portato al perbenismo piccolo borghese, che neppure il precursore Domenico Modugno - seppure innovativo, non un poeta - aveva saputo innescare. Grazie ad Endrigo nel 1960 prende le mosse il rinnovamento di un mondo giovanile ristagnante e inquadrato, ancorato da anni agli schemi tradizionali dell'iter della vita, dalla scuola, al matrimonio, alla famiglia, al lavoro in giacca e cravatta come un percorso teleguidato senza troppe eccezioni o spostamenti. Non a caso nel 1968, in linea con l'aria di cambiamento che si respirava allora, vince a Sanremo con una melodia che mette i brividi: "Canzone per te". Quante volte Sergio Endrigo ha cantato canzoni di amori lasciati o traditi? La sua voce malinconica era tuttavia un richiamo per chi si riconosceva in situazioni sentimentali tormentate. Quella sera, quando stavo soffrendo per una ragazza che mi aveva riempito il cuore, a una festa tra amici, quanto mi identificai nella voce di Endrigo che cantava: "Se le cose stanno così... Parole come veleno, che mi hai detto in un giorno d'ottobre, dimenticato dal sole"! Come in altre sue canzoni poetiche: "Teresa", "Era d'estate", "Annamaria", "Viva Maddalena", solo per citarne alcune. Le sue poesie scorrevano di pari passo con la sensibilità dei giovani che lo apprezzavano. E mentre per altri cantanti, non c'era mai accordo pieno tra i media sul gradimento, per Sergio Endrigo c'era unanimità. Per la sua modestia, per la sua sensibilità, per la sua eleganza. Mai una parola di superbia, mai una pretesa, mai un gossip su cui speculare. Forse proprio per questo i rotocalchi e le case discografiche col passar del tempo, a poco a poco, lo abbandonarono.

Ma Endrigo non era ancora finito. La sua poesia si spinse all'estero, in Brasile e a Cuba, soprattutto, la sua poesia si rivolse ai bambini. In collaborazione con Gianni Rodari nacquero "La casa" e "Ci vuole un fiore".

Poi, di nuovo l'oblio. Ma un suo brano musicale inedito, successivamente arrangiato da chi aveva per anni collaborato con lui, vale a dire l'argentino Luis Enriquez Bacalov, divenne la colonna sonora del film "Il Postino" che nel 1996 fu candidato agli Oscar, come film straniero, con cinque nomination: miglior film, miglior attore protagonista (Massimo Troisi), miglior regia (Michael Radford), miglior sceneggiatura non originale e miglior colonna sonora.

Le prime quattro candidature non furono considerate (come miglior film straniero gli fu preferito "L'albero di Antonia", come miglior attore Nicholas Cage con "Via da Las Vegas", come miglior regista Mel Gibson). Soltanto la colonna sonora, drammaticamente palpabile e toccante, fu riconosciuta: quella sì convinse e penetrò la sensibilità dei giudici americani ed ebbe la statuetta: statuetta che venne consegnata a Luis Bacalov, che, trionfante, la impugnò alzandola alle stelle.

Fu proprio così, il suo amico e arrangiatore, con cui aveva collaborato per circa vent'anni, lo aveva tradito. A malincuore Sergio Endrigo, rimasto da poco vedovo dell'amata moglie Lula, ma incoraggiato dalla figlia Claudia, intentò una causa contro il suo collaboratore per plagio.

Il processo di primo grado si concluse con un nulla di fatto che non dava di certo ragione a Sergio Endrigo. In appello, invece, Endrigo vinse la causa con formula piena. Nel settembre del 2013, e siamo ai nostri giorni, si sarebbe dovuto svolgere il processo di terzo grado, la sentenza della Cassazione. Ma ecco che Luis Bacalov si presenta alla figlia Claudia e ammette finalmente di avere arrangiato una colonna sonora che non era stata composta da lui. Dopo diciassette anni, veniva resa giustizia, seppure postuma, al poeta dimenticato, scomparso in sordina (il 7 settembre 2005), così come in sordina era entrato dall'antro del successo. Il processo di terzo grado non viene celebrato e da Los Angeles consegnano la statuetta a Claudia. La colonna sonora de "Il postino" è stata composta da Sergio Endrigo, un musicista italiano di grande valore artistico, ma celebrato ben al di sotto del suo talento.

Quest'ultimo dovuto riconoscimento non è da intendersi come un crisantemo al 3 di novembre, cioè inutile, perché solo in parte ripaga il cantautore italiano che ha accompagnato la mia giovinezza e ha elevato la sua musica e i suoi testi a profonda poesia. Dall'ascolto di queste antiche canzoni, credo che un poeta possa trarre ispirazione per nuove opere letterarie, frutto di sentimento, di ammirazione, di gratitudine.

 

Massimo Messa (Milano)
 

 

 

 

 

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