Amici Comit News - giugno 2014

 

     O’ quatto ‘e maggio    

 

Il 4 maggio era una giornata fatidica per la città di Napoli: sotto quella data avvenivano, per tradizione, i cambi di casa delle famiglie. Tutto ciò comportava una baraonda incredibile, tant’è che ancora oggi, per indicare una situazione di enorme confusione, si usa dire: "ma che d'è stò quatto 'e maggio"!  L’espressione è utilizzata pure per rappresentare una possibile evento pericoloso: “mo’ succede o’ quatt’e maggio”, paventandosi così turbolenze di piazza o zuffe violente con conseguenze imprevedibili. Si trattava di un avvenimento di forte rilevanza sociale poiché buona parte dei deambulanti, servendosi di carrette o “sciaraballi” (*), con i mobili stipati alla meglio e la coorte di figli, familiari e persino animali domestici al seguito, erano in realtà degli “sfrattati” (**). Navigando su Internet si ritrovano parecchie spiegazioni dotte o fantasiose circa l’origine di questo modo di dire. Si parte addirittura dall’impero romano, durante il quale la possibilità di eseguire i traslochi era concentrata in un’unica giornata. Sembrerebbe che tutto ciò avvenisse in agosto ma, col calore e’ pazze di quel mese, è chiaro che i nostri conterranei nei secoli successivi non vedevano l’ora di cambiare. Ecco che nel 1587 il Viceré Juan de Zunica, conte di Morales, dietro forti pressioni dei facchini di mestiere, volle accontentarli e fissò per legge il 1° maggio come occasione dei trasferimenti. Tuttavia, la scelta non si rivelò felice in quanto coincidente con la festività dei Santi Filippo e Giacomo, allora molto venerati in loco con feste che si concludevano con balli, canti e libagioni collettive. Quindi, nel primo giorno di maggio niente attività troppo faticose, che andavano a impattare su un momento ludico.  Più ragionevolmente nel 1611 un altro Viceré, Pedro Fernando de Castro, impose la nuova data del 4 maggio, coincidente con quella del pagamento del "pigione". Occorre sapere che, nel XVII secolo, il pigione di casa ('o pesone***) era annualmente corrisposto ai proprietari dei quartini tre volte l’anno: il 4 gennaio, il 4 maggio e il 4 settembre. Queste ricorrenze erano denominate "tierze" con un richiamo anche alla riscossione degli interessi derivanti dai titoli obbligazionari che venivano in scadenza proprio in quei periodi. Il quattro di maggio perciò divenne la giornata del grande trasloco di massa: cominciava all’alba la peregrinazione affannosa alla ricerca di un "si loca", il cartello che indicava appartamento libero da occupare. Una volta individuata la conveniente opportunità e concordato il prezzo, cominciava la via crucis della salita delle scale per il trasporto manuale di masserizie di ogni genere. Non era improbabile che, al calar del sole, nonostante gli sforzi collettivi, si dovesse dormire per terra, perché la sistemazione del nuovo alloggio non si era del tutto completata nelle poche ore a disposizione.

Ecco che ”succede o’ quatt’e maggio” rappresenta, per traslato, non solo l’affannoso agitarsi di persone e cose, ma pure un momento di passaggio che prelude a cambiamenti di vita di non poco conto (la fine di un’intesa, di un amore, di un’amicizia).

Sul tema scrisse una simpatica canzonetta il grande Armando Gill, autore e interprete tra i più brillanti del primo novecento (ricordiamo, tra le sue composizioni :”O zampugnaro ‘nnammurato”, “Come pioveva”, “bella ca bbella sì”, “ Palomma” , “E allora…”, “ La donna al volante”) nella quale il protagonista lamenta, in più riprese, che teneva ‘na bbella putechella, poi ‘na bbella casarella e, infine, ‘na bbella ‘nammurata, perdendole ovviamente tutt’e tre. Conclusione ironica dello chansonnier: “Core, fatte curaggio/sta vita è nu passaggio/facimmoce chist’atu quatt’e maggio/ che ce penzamme a ffà/si ‘o munno accussì va?”

 

Enzo Barone (Salerno)

 

* etimologicamente dal francese: char à bancs - carro con i banchi

**da ex fratta:  uscire allo scoperto e, per estensione, sloggiare 

***dal verbo latino “pendere”: pesare, pagare; quindi, “pesone e’ casa”, ben diverso dalla “mesata” che, latu sensu, può indicare pure la pigione, ma che significa più precisamente lo stipendio, il salario percepito. 

 

 

 

 

 

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