Amici Comit News - marzo 2014

 

 

3a puntata

 

Erano giorni, anzi mesi, di tremori e di incertezze.
In me si era fatta la convinzione di farmi prete, il mio Parroco mi aveva fatto una lusinghiera lettera di presentazione per il Vescovo che mi aveva ricevuto ed intrattenuto per quasi un’ora, la mia mamma era stata in un conosciuto negozio di tessuti per prevedere l’acquisto della stoffa nera necessaria per l’abito clericale, io avevo iniziato gli studi di greco per l’ammissione al Seminario.
Tempo dopo, ripensandoci, ebbi l’impressione che non era vocazione ma un sentimento di fuga da una situazione sociale che si faceva sempre più difficile.
Ero a questo punto quando arrivò l’Aprile del 1945 e furono proprio loro due, il Vescovo e Don Camillo, che trattarono coi tedeschi perchè si ritirassero senza rappresaglie contro la popolazione.
La città fu quindi invasa da “partigiani” armati, dalle Brigate Garibaldi organizzate dai Partiti di Sinistra e c’era aria di colpo di Stato, sottovoce si sentiva dire che i Comunisti avrebbero preso il potere, magari con la forza, mentre iniziavano la caccia all’uomo, trasformando il Castello visconteo in campo di concentramento di tutti i fascisti conosciuti o anche solo sospetti, rapando a zero le donne fasciste che furono fatte sfilare lungo i Corsi cittadini, tra il vituperio delle genti.
Ma non riuscirono a prendere il potere: tutte le altre forze democratiche bloccarono i centri civici vitali (Prefettura, Questura, ecc) e calò sulla città una calma ansiosa che portò ad una soluzione legale, anche se raffiche di fucilazioni e di arresti di fascisti insanguinarono quei giorni.
Passata l’euforia, il Comitato di Liberazione assunse i poteri per dare alla città i necessari organismi amministrativi.
La cosa che mi colpì fortemente in quei giorni convulsi, fu il fatto che alla pubblica riunione cittadina del Comitato di Liberazione, il primo maggio del 1945, ai due lati della sedia presidenziale vi era il nostro Nino Bondioli con accanto due ragazzi in divisa scout, (figli di vecchi scouts), senza cappellone naturalmente, ma ben riconoscibili dal loro camiciotto kaki, foulard, fibbia, pantaloni bleu e calzettoni coi classici pendagli!!
E che il Presidente del Comitato, il dott. Carlo Milani, Direttore della locale filiale della Banca Provinciale Lombarda (e fu poi eletto Sindaco) fosse segnalato a noi, dell’Azione Cattolica, come Commissario Provinciale dei Giovani esploratori che stavano risorgendo.
Questa fiammata d’entusiasmo che riportava alla ribalta un Movimento che si pensava fosse morto da un pezzo, galvanizzò noi giovani “dirigenti”. Ascoltammo con curiosità i Vecchi Scout, ora uomini maturi e con notevole posizione sociale, parlare dello Scoutismo, offrirsi di organizzare il Riparto, naturalmente com’era quando loro furono costretti a lasciarlo, quando il Fascismo aveva sciolto l’Associazione.
Ai ragazzi dell'Oratorio, ai miei Aspiranti in particolare che erano tra i più attivi e bravi ragazzi, fu lanciato l’invito a diventare scouts.
Ed anche a me.
Mi passò la voglia di diventare prete, non mi sentii di lasciare ad altri i “miei” ragazzi che conoscevo ad uno ad uno, che mi seguivano nell’attività, che ascoltavano i miei consigli.
Esaminata con l’Assistente l’attività fin allora compiuta che non era male ma forse...monotona ed incompleta dal punto di vista formativo in cui la religione era troppo accentuata e direi quasi imposta, decisi di abbandonare le “ossitone greche” che avevo iniziato a studiare., per passare... sull’al tra sponda.
D’altra parte, a Roma, che dal 1944 era stata “liberata” dagli anglo-americani, l’Associazione scout si era già ufficialmente ricostituita col nome di A.S.C.I. ma era considerata come una branca aggiunta e speciale della Azione Cattolica, da cui doveva dipendere.
In effetti, fino al 1949, chi era iscritto agli Scouts faceva parte automaticamente dell'Azione Cattolica.
Dunque, dicevo, che, dei miei 54 Aspiranti, ben 32 accolsero l’invito di tentare la nuova avventura ed il 5 settembre 1945, nel grande cortile dell’Oratorio, in uniforme perfetta con fiamma e guidoni acquistati presso la Cooperativa K1M di Milano, con alpenstok e cappelloni, pronunziammo la Promessa al “Capo Gruppo” (Bondioli) che, pur essendo in borghese, era stato l’anima di questo neo-miracolo.
Il Geometra Enrico Ferri fu nominato Caporiparto ed io divenni il suo Aiuto-Capo, in pantaloni lunghi ma con camiciotto, foulard e cappellone mentre i ragazzi furono divisi in otto squadriglie di cui una di “anziani” , cioè che avevano già 15 anni e oltre.
Dopo la Promessa, Messa e Comunione, Il Don Camillo, che fu sempre un nostro grande sostenitore, offri a tutti una buona scodella di latte caldo con pane, vera rarità in quei giorni in cui si mangiava solo con la carta annonaria che fissava i generi alimentari nelle misure minime necessarie al mantenimento e quanto si voleva avere in più occorreva comprarlo a borsa nera.
Ora c’era un Riparto, che si riuniva solo la Domenica mattina a “giocare”, mentre durante la settimana venivano riuniti i ragazzi che sarebbero stati i Capi-squadriglia e si lavorava per attrezzare la Sede che ci era stata assegnata a fianco di quella della Soc. Ginnastica Alacres.
Cominciare così dal nulla, senza indicazioni precise, e contrastanti con quante altre ci potevano giungere all’orecchio da Milano, senza sapere cosa bisognava fare e soprattutto cosa sapere per trasmetterlo agli altri, era cosa improba.
Noi, giovani aiuti Capo, sentivamo acutamente questo vuoto cercando di colmarlo con la fantasia e l’iniziativa, inventando giochi di “pionieri, pellerossa e guardie di frontiera”, chiedendo agli anziani che ci dessero qualche indicazione e suggerimento, mentre veniva agitata la meta del “Campo estivo” , come espressione massima della vita scout.
Ciascuna famiglia si dava da fare per acquistare (al mercato dei residuati di guerra), sacchi lana, coperte, zaini, taschette, gavette, borracce, accette e quant’altro si stimava potesse essere utile, mentre da parte nostra cercavamo di recuperare il maggior numero di teli-tenda militari in quanto con sei di essi si formava una tenda per sei ragazzi, e di tale numero fissammo i membri di ogni Squadriglia e ciascun ragazzo avrebbe avuto in consegna un telo.
Con la primavera del 1946 cominciò effettivamente una attività esterna all’Oratorio, cioè la scoperta del bosco.
Si usciva come Riparto, non ancora come attività di Squadriglia, ma con apprendimento e gare sulle segnalazioni Morse e con le bandierine alla marinara (le prime volte tenendo in mano dei fazzoletti bianchi! fin che mamme compiacenti ne cucirono diverse paia).
La primavera portò un altro problema: quello dei Lupetti. Vi era una bella foto storica del Gruppo del 1928 in cui c’erano anche i Lupetti ma nessuno degli anziani sapeva cosa dovevan far fare a questi bambini.
Finalmente fu reperito un vecchio e consunto “The Wolf Cubs’ Handbook”, scritto in inglese, ed il neo geometra Francesco Diegoli si incaricò dei Lupetti... senza sapere una parola d’inglese per cui la chiamata del Branco fu “Dog! dog! dog!” cui veniva risposto “Si!!” e il Branco formava il cerchio.
Non fu per molto, presto ci aggiornammo ma era in lutti una specie di ansia di fare, quasi una frenesia.
Il Riparto, ed io con esso, partecipò al Campo regionale di San Giorgio che si tenne ad Affori (Milano) e ne approfittai per vedere in azione i Riparti delle altre città.
Naturalmente si chiedeva aiuto a Milano, dove però i problemi erano forse maggiori dei nostri ed al momento erano più tesi ad ottenere dal Cav. Osio di Montecchio Maggiore, sul Lago di Como, l’affittanza delle sue terre a Colico per instaurarvi un Campo Scuola, assolutamente necessario se si voleva dar vita ad un Movimento serio ed inquadrato.Nel contempo si diffidavano tutti i Gruppi sorti in Lombardia a regolarizzare la loro posizione attraverso un Ente promotore che ne fosse responsabile ed un caldo invito ai Capi perchè andassero a Colico ad “imparare”.
L’invito non cadde nel vuoto e io e Ferri ci iscrivemmo perchè sentivamo l’estremo bisogno di conoscenza del metodo.
Il 1946 fu un anno anche politicamente cruciale: i social comunisti avevano perduto per poco le elezioni politiche ma il 2 giugno ci sarebbe stato il Referendum costituzionale con la scelta tra Regno e Repubblica.
Il clima era teso, c’era sempre la paura di un colpo di Stato da parte del “Fronte Popolare”.
Ho accennato Referendum di 2 giugno 1946. Mi piace ricordare che alla chiusura del mese di Maggio in Duomo con gran folla di popolo e di Associazioni, anche noi partecipammo come scout cattolici, in borghese perchè i genitori avevano paura di qualche contromanifestazione condotta da gruppi estremisti, a questa cerimonia in Duomo.
Poi ci riversammo nella piazza antistante il Vescovado, perchè il Vescovo venisse a salutarci prima di tornarcene alle nostre case, e cantammo con formidabile entusiasmo la nostra completa adesione alla Chiesa con un inno che suonava così:


Santo Padre che da Roma
ci sei meta luce e guida
in ciascun di noi confida
su noi tutti puoi contar.

Siamo arditi della fede
siamo araldi della Croce
al tuo cenno, alla tua voce
un esercito ha l’altar...


Ho riportato questi due versetti dell’inno perchè esprimono chiaramente il clima di tensione che esisteva nella nostra Italia ed ovviamente ci coinvolgeva.
Il Campo Scuola colichino fu pesantemente meraviglioso: pesante perchè furono otto giorni intensissimi, meraviglioso perchè conoscemmo altri giovani venuti da ogni parte d’Italia e soprattutto dei Capi che sapevano il fatto loro.
C’erano Don Andrea e Vittorio Ghetti ( la famosa Cà- ghetti! !), Michel Du Bot e Paul Rama, due capi francesi che avevano collaborato coi tedeschi in Francia ed erano riparati in Italia per evitare l’internamento anche se a loro carico non c’erano che opere di bene.
Erano ricchi di una esperienza scout affascinante, perchè in Francia, loro, l’avevan vissuta fin da ragazzi.
C’era il canuto Professor Mira, Commissario Regionale, ed un gruppo di “rover” (noi sapevamo appena che si chiamassero così gli scouts anziani) per i servizi logistici.
Mi sfugge ora il nome di altri Capi istruttori presenti.

Ci presentammo, il 20 di luglio, alla Direzione del Campo: avevamo sul camiciotto il giglio, come semplici scouts, ed io mi appoggiavo ad un bastone con manico curvo e punta di ferro che, mi avevano detto i vecchi scouts, erano il “segno del comando”.
L o vide Vittorio Ghetti e mi domandò cosa fosse: non commentò ma, dalla sua espressione, io compresi come io fossi fuori del vero mondo scout per cui, dall’indomani lo U'Uni ini un albero e servì a sostenere la gavetta per la cucina pei sonale che ci fu imposta per tutti gli otto giorni.
Non descrivo le attività, dalla corsa di squadriglia portando un pesante tronco, all’Hike di scoperta dei Forti de Fuentes perchè sono attività che, penso, siano svolte tuttora perchè fanno parte integrante del metodo e non possono essere sostituite dai computer o dai telefonini.
Un particolare mi è rimasto, indimenticabile. Paul Rama non era il vero nome di quel robusto giovane dalla faccia tonda e sorridente, ma un nome fittizio: dopo quel campo, mentre Michel Du Bot entrò a far parte del Commissariato Regionale, Paul Rama non lo vidi più.
II   giorno prima che il campo terminasse gli chiesi di farmi una sua firma sul mio “Quaderno di Caccia”.
Lui mi sorrise e scrisse:

“Quand tu serais dans la jungle, o timid louvetou, a courir du grande chasse, si tu tombe sur un bufle, souvien toi que il est de ton sang! ”
Forse, osservandomi durante le attività del Campo, aveva osservato nel mio carattere una tendenza verso il Lupettismo più che verso gli scouts e lo previde con questo suo scritto che parlava di quella Giungla che io ancora non conoscevo.
Tornammo contenti e desiderosi solo di mettere in pratica quanto avevamo appreso, con la sola nostalgia di non aver potuto partecipare al primo Campo del Riparto, tenuto insieme agli scout degli altri Riparti cittadini, con la presenza di più di cento ragazzi, al Passo del Brallo, sopra Pregola, nell’appennino Pavese-piacentino.

 

 

Fine seconda puntata (marzo 2014) - continua

 

 

 

Vi abbiamo già parlato del collega Virginio Inzaghi, poeta dialettale, scrittore, fine umorista e storico di Pavia.

Il figlio Claudio ci ha inviato il volumetto SEMEL SCOUT SEMPER SCOUT )scritto con lo pseudonimo di Phao Del Lago), una storia dello scoutismo pavese, nel quale Virginio fu particolarmente attivo,
Virginio ci accompagnerà per molti mesi in quanto vi presentiamo a puntate sulle NEWS l'intero lavoro iniziando dalla pubblicazione del settembre 2013:

settembre 2013 - prima puntata

marzo 2014     - seconda puntata

 

 

 

 

 

 

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