Amici Comit News - marzo 2014

 

 

     Il confronto e la consapevolezza    

 

 

Il mattino successivo, il calesse col cavallo, superbo nei fini­menti di cuoio, nelle luccicanti fibbie di ottone massiccio e nella testiera piumata coi paraocchi tondi, era posteggiato davanti alla casa di Pertinace. Il cavallo, reiterando movimenti in su e in giù col capo immerso nel sacchetto con l’avena, mostrava di non voler rinunciare nemmeno agli ultimi granelli del suo pasto.

Pietro arrivò puntuale e attese Pertinace con la mano ap­poggiata al bracciolo del calesse.

Partirono, con Pertinace alle redini, che il sole, sfolgorante fino a poco prima, si era già nascosto dietro le nuvole, lasciando il campo ad una brezza leggera e fresca che consentiva al caval­

lo di mantenere - senza sforzo eccessivo - un trotto allegro e costante.

Attraversarono rapidi il paese e non udirono i commenti, improntati alla curiosità, al pettegolezzo o addirittura all’invidia, di quanti incrociarono lungo il percorso.

Quando imboccarono la strada carrozzabile per Guardafui, Pertinace allungò le gambe per cercare una posizione più comoda e consegnò le redini a Pietro. Il cavallo trottava spedito senza guida e senza necessità della frusta, che restò infilata nella guaina di ferro da dove sferzava l’aria per proprio conto.

Dalla sommità di un piccolo ponte che attraversava il letto asciutto di un ruscello, l’orizzonte si aprì su una vasta estensione di campagna dai toni che passavano dal giallo fiaccato delle stoppie, al verde intenso degli alberi a gruppi qua e là in uno sfondo di verde tenero macchiato di tanto in tanto da poveri casotti col tetto in lamiera, destinati alla custodia degli attrezzi dei campi.

Qualcuno, più vecchio degli altri, si adornava di timidi pergolati o di bassi ma frondosi cespugli di fiori bianchi e celesti. Le colline intorno sfumavano verso l’azzurro chiarissimo fino a confondersi lontano con gli ultimi lembi del cielo.

Pietro non osò rompere il silenzio di Pertinace e fu deluso quando questi, anziché accennare con chiarezza all’imminente cresima, gli chiese: “Così, cosa te ne pare di ciò che abbiamo discusso finora?”. Pietro esitò, tentato dall’apparente ambiguità della domanda, che poteva prestarsi al suo desiderio di tornare sull’argomento della cresima e, come usano fare certuni che, avendo capito benissimo, si fanno ripetere il quesito per inveterata, discutibile abitudine o - ma sono pochi - per destinare più tempo alla riflessione, rispose “Come?”. “Sì” disse subito Pertinace “delle frustrazioni, del cervello...” e lasciò la frase a mezz’aria, incompiuta, per intendere le tante altre cose di cui avevano parlato.

“Ah sì! il cervello... una fornace” sintetizzò asciutto Pietro. “Esattamente” proseguì Pertinace “come il sole, ma una forna­ce intelligente. Ed è grazie a questa prodigiosa facoltà che l’uomo compie il primo passo, quello decisivo, che ne segnerà il de­stino. Avrai capito che mi riferisco alla seconda C, al confronto. Prima però di entrare in questo argomento, devo completare il quadro, sempre in modo grossolano s’intende, di quello che noi abbiamo sbrigativamente chiamato cervello, ma che gli studiosi distinguono in due parti. Una, che definiscono corteccia cere­brale, la zona cioè del conscio, della coscienza, della volontà e del pensiero. L’altra che chiamano inconscio”.

“Questa seconda zona, che è sempre esistita ovviamente, fu rivelata alla fine dell’800 da Freud, un medico austriaco, sollevando un vero e proprio scompiglio fra gli uomini di scienza. Le sue teorie, comunque, si affermarono e sono universalmente accettate. Egli è il padre della psicoanalisi”.

“Ti stavo dunque dicendo delle due parti del cervello. Esse sono considerate come due enormi centrali che mantengono fra loro strettissimi rapporti e necessitano l’una dell’altra. Con termine più tecnico si potrebbe dire che interagiscono”.

“Nella prima, la corteccia, si concentra il pensiero, si svolgono le attività di regolazione, di organizzazione, di verifica e di equilibrazione”.

“Nella seconda, ossia nell’inconscio - la cui collocazione fisica gli specialisti avrebbero individuato essere nel talamo, che è una sostanza nervosa a forma d’uovo situata nel diencefalo, insomma pur’essa all’interno del cranio - risiede la emotività che è il fondamento della vita umana. Tutte le emozioni, intendendo le sensazioni di segno positivo come la gioia, il benessere, il piacere ecc. e di segno negativo come l’afflizione, il dispiacere eccetera, risiedono in questa zona.

“Al di sotto di questa seconda zona dell’inconscio, chiamata da Freud inconscio personale, sussistono altre due zone, una dell’inconscio generale, del clan, del paese a cui si appartiene, e una dell’inconscio collettivo, del genere umano, con le quali quello personale è in stretta, strettissima relazione. Ma non voglio dilungarmi oltre in queste descrizioni che potrebbero farti credere a una competenza che invece non c’è”.

“Aggiungo soltanto, perché può spiegare qualcosa in anticipo su quanto ci interessa, che le comunicazioni, i rapporti intercorrenti fra la zona dell’inconscio personale e quella del conscio - le cosiddette pulsioni, cioè le spinte, gli impulsi emotivi che vengono dal basso e reclamano il soddisfacimento di qualche bisogno - devono superare una barriera prima di giungere a destinazione, cioè nella zona alta. Questa barriera è costituita dall’educazione, dai principi morali, dalle convenzioni di gruppo eccetera. Se l’impulso proveniente dal basso varca questa barriera, la corteccia ne entra in possesso, lo gestisce e lo indirizza verso la direzione più acconcia. Se viene respinto, esso ritorna alla base di partenza o viene accantonato in quel grande magazzino degli istinti che è il subcosciente e, come già abbiamo visto, produce vari tipi di sofferenza, cioè complessi, frustrazioni, depressioni eccetera”.

Pietro, la cui predisposizione d’animo era sul momento maggiormente rivolta alla cerimonia della cresima - e se ne possono capire i motivi - non dedicò l’abituale concentrazione al lungo discorso di Pertinace. Oltre tutto ora ricorrevano termini tecnici, difficili da distinguere l’uno dall’altro e da digerire, che congiuravano a ridurre il suo interesse.

Sentiva tuttavia dentro di sé (l’inconscio!) che, rinunciando ad afferrare quanto era alla sua portata, si sarebbe compieta- mente estraniato dai discorsi di Pertinace, non avrebbe più avuto

possibilità di seguirne i ragionamenti e, quel che è peggio, ne avrebbe perduto la stima e la confidenza. Gli venne persino in mente la brusca interruzione della chiacchierata nel bosco per andare incontro alla processione e ora non voleva correre lo stesso rischio di allora.

Raccolse quindi tutte le sue forze, allontanò i pensieri della cresima, si diede insomma l’abito di chi finora avesse dedicato l’attenzione necessaria e, con l’aria di voler dissipare soltanto qualche dubbio, chiese: “Voi credete che la gente comune, co­me me,riuscirebbe a capire fino in fondo tutti questi intrichi, questi scambi, questi flussi e riflussi, queste interferenze, questi condizionamenti, ecc. che si verificano nel nostro cervello?”. E aggiunse, attribuendo ad altri un desiderio suo: “O non capi­rebbe di più con meno parole di scienza e più esempi?”.

“Se la gente capisse i meccanismi del cervello e padroneggiasse a dovere l’intera sfera dell’emotività, la società umana non sarebbe quella che è ma molto, molto migliore”.

“La difficoltà è tutta qui, nel convincere la gente a soffermarsi un poco per considerare il suo destino, che non ha nulla di fatalistico o di misterioso ma che affonda le sue lunghissime radici proprio nel cervello, dove ci sono le impronte grezze di ciò che - col concorso di fattori ambientali - ogni uomo sarà o potrà essere” rispose d’un fiato Pertinace. “Non hai torto co­munque” - continuò - a pretendere qualche esempio, dato che con essi molto spesso risulta semplificato il compito d’esprime­re concetti complicati”.

“Ne faccio uno: una bambina di pochi anni prova piacere a guardare e toccare talune parti del proprio corpo. Ella ha ricevuto nella corteccia cerebrale un impulso proveniente dal subcosciente e vi ha dato libero sfogo perché, come detto, ne pro­va piacere. Non v’è alcunché né di male né di immorale, mancando l’intenzione e la malizia e, data l’età, i principi morali”.

“Domandati cosa faresti tu di fronte a una figlia che sorprendessi a fare queste cose. Probabilmente cominceresti da quel momento a dedicarti a lei amorevolmente per inculcarle, poco alla volta, l’educazione e i valori morali”.

“In questo modo tu creeresti fra la zona degli istinti (subcosciente) e la zona della coscienza (corteccia), una barriera costituita dal frutto dei tuoi insegnamenti (principi morali) che servirebbero per tutta la vita a tua figlia che, a sua volta, li metterebbe in pratica con i suoi figli in circostanze analoghe”.

“Se invece tu fossi tanto dissennato da ricorrere ai castighi, tralasciando di costruire giorno dopo giorno il filtro dei princi­pi morali, otterresti forse di far cessare l’azione della bambina, ma in parallelo ne faresti una nevrotica. In pratica avverrebbe che i suoi istinti - di guardare e toccare quelle parti - troverebbero, sulla strada dall’inconscio verso il conscio, non più una porta dorata, cioè quella dei valori sicuri e convincenti, ma un bastone muto e minaccioso che rimanderebbe l’istinto nelle zone basse senza liberarlo, alimentando così l’area dei disturbi (nevrosi), col risultato, per giunta, che tua figlia continuerebbe anche da grande a fare di nascosto quello che ha sempre fatto. E di questo passo puoi immaginare dove andrebbe a finire”.

Il braccio destro piegato a mezz’aria con la mano aperta e roteante all’indietro verso la spalla sottolineò le ultime parole con un gesto che voleva significare “indietro, molto indietro nel tempo”.

“Mi pare d’aver capito” disse Pietro “però tutto è sottile e complicato”. “Proprio così” rispose Pertinace senza dare segui­to alle parole di Pietro.

Viaggiarono per un buon tratto in silenzio. Gli zoccoli del cavallo mandavano suoni regolari come fossero colpi di grancassa stonata, per via del fondo stradale che sembrava battuto ma lo era a metà. Si sentiva di tanto in tanto la voce di qualche conta­dino ma non se ne vedeva la figura, immersa al di là dell’alto bordo di cespugli che separava la strada dai campi.

Le lucertole, che si godevano il sole sulla strada, correvano via all’arrivo del calesse disegnando sul terreno con la coda lun­ghe righe fino ai cespugli. Le ultime cicale frinivano senza sosta creando l’unico martellante sottofondo sonoro alla fatica dei contadini e al canto solitario di qualche giovane donna.

“Tu mi hai interrotto” disse Pertinace sollecitando il cavallo “ma, se ricordi, stavamo parlando del confronto”. “È vero” rispose pronto Pietro. “Il confronto è un momento delicatissimo e decisivo nella sfera delle emozioni” proseguì Pertinace. “Proviamo a immaginare quando può essere accaduto per la prima volta e così, con un esempio di fantasia, potremo chiarirci il meccanismo e ovviamente i suoi effetti. E verosimile che per compiere un simile

atto, che consiste nell'esaminare attentamente due o più cose insieme, calcolandone le differenze, le somiglianze, il valore, l’interesse, l’importanza ecc., l’uomo primitivo dev’essersi trovato in uno stadio evolutivo abbastanza avanzato”.

“Questo perché l’operazione richiedeva l’impiego di facoltà logico-critiche di tutto rispetto. Egli quindi prese conoscenza di un fatto, di una realtà sconvolgente. Capì cioè che l’esercizio dell’autorità, del comando, o di particolari attribuzioni, significava  il godimento di posizioni che oggi chiameremmo di potere, di prestigio, di ricchezza, in una parola di primato nell’ambito del gruppo di appartenenza. In tal modo mise in atto quella che nell’uomo è un’istanza innata, fondamentale, cioè la volontà di potenza”.

“Ai primordi non si poteva trattare che di dimensioni fisiche, di statura e quindi di pura forza muscolare, grazie alla quale il detentore si assicurava la completa soggezione del gruppo, la cattura e la spartizione delle prede, il giaciglio più comodo, le donne, l’autorità assoluta entro i limiti della zona di residenza. Allorché il territorio e il gruppo acquistarono dimensioni di qualche rilievo, s’impose la necessità di un embrione di decentramento del comando, di gerarchia e di disciplina ancora più ferrea. Anche queste furono la risultante di selezioni ottenute a suon di legnate o di pietrate fra gli elementi dotati di forza fisica e di autorità di comando. Quando l’uomo primitivo fu in grado di fare questa scoperta, di confrontarsi con essa e di ragio­narci sopra, alla sua maniera s’intende, egli, che non era detentore di alcunché, ne rimase sconvolto”.

“L’individuazione e il riconoscimento dell’esistenza di uno stato di soggezione e di inferiorità - e qui siamo già nella terza C, la consapevolezza - gli ha creato uno stato d’animo, una condizione psichica, prima sconosciuti, di sofferenza, di mortificazione, di afflizione, di angoscia. In pratica si ritrovò frustrato”.

“Ora, non pensare che pur ragionando sul piano della fanta­sia, le cose non stiano esattamente così anche nella realtà di oggi. Stanno proprio così. Gli eredi di quell’omino frustrato si sono moltiplicati a dismisura e popolano oggi il nostro pianeta in numero tale da costituire una massa fra le più cospicue di tutti gli esseri viventi”.

“Noi ci confrontiamo continuamente con gli altri attraverso operazioni emotive che, lo abbiamo già visto, risiedono nel subcosciente. Da qui partono verso l’alto, in continuazione, impulsi che, quando superano barriere o filtri adeguati, possono trovare, anzi trovano sicuramente, giuste canalizzazioni, altrimenti tornano dove sappiamo e innescano, nel caso più frequente, il sentimento d’inferiorità”.

“Questa condizione può essere superata, come accade spesso nei bambini, quando c’è un apporto positivo dell’ambiente. In sostanza, il bambino reclama aiuto e chi gli sta intorno gli fornisce stimoli piacevoli e rassicuranti”.

“Se invece non è superata ma rimane in permanenza nel subconscio, si trasforma da sentimento in complesso d’inferiorità, che è una vera e propria malattia”.

“La parte del nostro cervello che si occupa di questi problemi, cioè l’organo psichico - com’è stato chiamato - provvede autonomamente a prepararsi la medicina per questa malattia”.

“Difatti detto complesso d’inferiorità si accompagna sempre all’impellente bisogno di ricercare una condizione di riequilibrio, una compensazione, una rivalsa. L’uomo, sentendosi di volta in volta pauroso, aggressivo, angosciato, timido, in una parola, sofferente, frustrato - come appunto si dice - e in preda a un’incontenibile necessità di sopravanzare gli altri, di umiliarli comandandoli, di primeggiare, si costruisce dentro di sé un abito mentale su misura, nel senso che questo particolare stato d’animo, questa consapevolezza, frutto, come si diceva, del confronto, determina il suo modo di pensare e, in definitiva, il suo comportamento”.

“Tale comportamento poi è indirizzato verso il tentativo di capovolgere il risultato del confronto; cioè, se uno si sente timido farà l’aggressivo, se si sente pauroso farà lo spavaldo o lo spe­ricolato o perfino l’eroe, se è debole vorrà dimostrare di essere potente, e così via di seguito”.

“Ecco dunque la ‘medicina’ preparata dal nostro organo psichico. Essa consiste in una sopravvalutazione di se stessi, una compensazione di segno opposto al complesso d’inferiorità”.

Erano discorsi complicati che Pertinace si sforzava di semplificare per consentire a Pietro di comprendere almeno il gioco delle forze che agiscono nel meccanismo di formazione di taluni comportamenti umani.

Dall’espressione di Pietro egli però capì che l’impresa non era facile.

Pietro annuiva col capo e Pertinace continuò: “Non pensare che queste situazioni psicologiche siano nate stamattina. Sono sempre esistite. Non solo, ma il bello è che esse si manifestano anche a livello collettivo”.

“Si parte dalle aggregazioni più piccole come le famiglie, i quartieri, le corporazioni, le città piccole e grandi, le regioni, per finire alle nazioni e perfino ai continenti. Ti può sembrare strano o paradossale, ma è così”.

“Tutti questi soggetti possono, in determinate situazioni, percepire la stessa consapevolezza del singolo individuo di sentirsi in stato di inferiorità e immediatamente dare luogo a chiare manifestazioni di compensazione che mirano a portarsi al livello di superiorità riscontrato nel soggetto con il quale hanno di volta in volta occasione di confrontarsi”.

“Le conseguenze di questo travaglio non sono naturalmente le stesse di quelle che si riscontrano nel soggetto singolo. Qui, a seconda delle dimensioni, possono scaturire esasperate competizioni, contrasti e, non di rado, veri e propri conflitti”.

“Uno degli esempi più comuni e ricorrenti, sotto gli occhi di tutti, è fornito, nel micro, da una gara sportiva fra una squadretta di provincia e una grande squadra blasonata. Un altro, nel macro, da una guerra, voluta o non voluta poco importa, fra un piccolissimo Paese e una Grande Potenza.

In entrambi i casi, sia la squadretta che il Paese piccolo, mobilitano tutte le risorse fisiche e psichiche e centuplicano i loro sforzi, fino allo spasimo, per superare l’avversario o, quanto meno, per metterlo in seria difficoltà. E non di rado vi riescono. Te l’aspettavi?”.

Lorenzo Milanesi - Milano
Da "Tiramisù - Ossia l'incontenibile desiderio"
Indice dei capitoli

 


 

 

 

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