"Abbiamo una stella polare: meno Stato, più mercato; meno
centralismo, più sussidiarietà; soprattutto meno tasse,
che sono il fondamento vero dello Statalismo"*
Renato Brunetta su Corsera 21 ottobre 2013
Topolinomics
e neoliberismo reaganiano
Quando
lessi per la prima volta questo grande classico disneyano, che oggi
propongo nella versione del 1951 intitolata "Topolino in Gran Tassonia", non
potevo rendermi conto che, precorrendo i tempi, il topo più famoso del mondo
aveva anticipato con estrema lucidità i principi di quella che fu definita
più tardi la "reaganomics". E' sconcertante constatare come un fumetto,
apparentemente innocuo e rivolto a un pubblico di bambini, possa aver
illustrato con profetica chiarezza le teorie di un liberismo di maniera al
quale si sono richiamati con insistenza i neoconservatori degli ultimi
decenni del secolo passato. La storia di cui parliamo - apparsa la prima
volta in America a fine 1936 e poi in Italia nel 1937 - fu ripubblicata nei
numeri che vanno dal 23 gennaio 1951 al 28 giugno del medesimo anno sul
tascabile edito da Mondadori. La versione originale ("Mickey Mouse as the
Monarch of Medioka" -"Topolino sosia di Re Sorcio") si ispirava a un film
che aveva ottenuto un buon successo, "Il prigioniero di
Zenda"
e fu illustrata dal grande Floyd Gottfredson; la successiva, alla quale
facciamo riferimento, fu interamente ridisegnata tredici anni dopo da Bill
Wright, altro eccellente artista, allievo del medesimo Gottfredson. Nel
remake italiano il titolo fu mutato in "Topolino in Gran Tassonia".
Quanto alla pellicola, spunto per la vicenda a strisce, ricordiamo che
raccontava di un inglese, abile spadaccino, di passaggio per turismo in un
immaginario staterello da
operetta della mitteleuropa. Il sovrano della Ruritania - così si chiamava
il regno - è una perfetta goccia d'acqua del protagonista del film. Così,
quando il re viene rapito da alcuni cospiratori che vogliono spodestarlo, il
sosia è sollecitato dai legittimisti a impersonarlo, di modo che nessuno
possa trarre turbamento dalla scomparsa, e ciò sino alla sconfitta
definitiva dei traditori. Con questo stratagemma e dopo molte peripezie, i
piani tenebrosi dei congiurati sono abilmente sventati. Solo in età matura e
grazie alle straordinarie possibilità di Internet ho potuto verificare che
sul fumetto
che
ci occupa e sui sotterranei suoi riferimenti a una visione neoliberista del
mondo, la rete si è più volte soffermata.
Pertanto, cliccando sul tema, si potranno trovare contributi interessanti e
non casuali parallelismi tra le enunciazioni di Re Sorcio e le teorie
economiche professate e attuate in buona misura dagli anni ottanta in poi in
America come in Inghilterra. Per la verità, da noi analoghe misure sono
state spesso propagandate, ma di deregulation se n'è vista ben poca.
Con questo "pezzullo" non vogliamo assolutamente addentrarci sul terreno
della discussione politica, ma solo offrire una divertente occasione di
lettura agli amici ai quali le mie paginette sono dedicate. Premetto, come
sempre, che i personaggi sono coperti da copyright e che, oltre ai volumetti
a mie mani, è stato preziosissimo il commento iniziale della raccolta
"Topolino Story 1951", numero 3/2005 edizione speciale per il Corriere della
Sera, che riporta la versione degli anni cinquanta. Ai tanti che si sono
cimentati poi nei più disparati commenti nella rete, vada il mio
riconoscimento
affettuoso
e la constatazione che, fortunatamente, non sembro essere il solo ad avere
la "capa fresca" per dedicarsi, per puro svago, a questo tipo di cose.
Cominciamo col dire che i pilastri della visione economica di Reagan e della
Thatcher, ispirati dalla scuola di Chicago e dal guru Milton Friedman
furono, in estrema sintesi: la diminuzione della crescita del debito
pubblico, la riduzione delle tasse sul lavoro e sui redditi di capitale, la
deregolamentazione dell'attività economica, il controllo dell'offerta
monetaria e l'abbattimento dell'inflazione. Siamo subito al dunque.
Topolino, in materia, che ne pensa? Ecco a fianco la sua pirotecnica trovata
per sopire le rimostranze di un popolino esasperato che, spremuto sino
all'osso da un regime rapace, è sull'orlo della rivoluzione. Si noterà che
il nostro eroe non fa giri di parole; niente minuetti leziosi e discussioni
estenuanti in apposite commissioni parlamentari. Il capo carismatico va
subito
al
cuore del problema e lancia il suo slogan, "NIENTE PIU' TASSE", che è altra
cosa rispetto al ragionamento.
Vediamo in quale contesto maturano i rimedi proposti dalla topolinomics.
Tanto per cominciare, ci accorgiamo che, grazie al sovrano, non c'è
bisogno di faticose mediazioni. Se si profila una crisi, il re - superati a
pié pari i faticosi dibattiti - si rivolge direttamente ai cittadini con un
dialogo accattivante. Li appella con cordialità, chiamandoli amici e
sudditi. Già nel tenore dell'invocazione c'è tutto il programma! I
presenti orecchiano infatti un messaggio semplificato, alla loro portata,
manifestando
un
entusiastico consenso. La tecnica adottata ci ricorda qualcosa? Tutto era
cominciato quando Topolino, perfetto sosia, come nel film ispiratore, del
dissipato monarca della Gran Tassonia, Michelino XIV, è chiamato a
sostituirlo sul trono, per salvare il regno dalla rovina economica (vedi la
vignetta a destra, che mostra il viveur in piena azione). Il peso dei
prestiti internazionali scialacquati dalla corona ha compromesso
l'affidabilità del debitore.
Lo spread è alle stelle. I membri del governo fanno ormai il giro dei
continenti col cappello in mano per ottenere altri finanziamenti. A causa
degli insuccessi riportati, il despota è furibondo e li minaccia perfino di
decapitazione.
Avvicinato Topolino con un espediente, gli esponenti politici del derelitto
regno gli propongono l'astuto piano. Abbiamo detto che il nostro è, per una
miracolosa coincidenza, esattamente identico a re Michelino. Ma, a
differenza del dissipato gaudente, è saggio, è brillante, è audace.
Gli
viene pertanto chiesto di sostituirlo sul trono per qualche tempo, per
rimettere a posto le finanze statali. Il vero re verrà spedito in incognito
in qualche luogo di lussuosa villeggiatura finché l'opera di risanamento non
si sarà conclusa.
Occorre, ovviamente, che il sosia si presti a essere un docile strumento
nelle mani dei politici di Tassonia.
Conoscendo il caratterino del personaggio, ciò non sarà però facile.
L'integerrimo topo inizialmente rifiuta, non volendo ledere, da buon
liberale, i diritti di Michelino XIV di fare un po' come gli pare. Però il
conte Migragna sa toccare il cuore generoso di Topolino facendogli balenare
le conseguenze di un inganno provvisorio a
fin
di bene: i diseredati di Gran Tassonia, attraverso la condotta oculata del
sostituto, potrebbero essere redenti dalla miseria incombente.
Topolino accetta ma, appena insediato sul trono, invece di fare ciò che
desiderano i consiglieri, prenderà in mano la situazione e proverà a
risolvere in modo definitivo i problemi economici, amministrativi e sociali
del paese. Il suo piglio
decisionale si contrapporrà immediatamente alle manfrine diplomatiche degli
esponenti dell'ancien regime. A proposito: la Gran Tassonia si chiama così
per un richiamo fonetico alla
Sassonia? Abbiamo visto che nella versione italiana Michelino XIV parla con
la zeta al posto della "c", forse per dare un'idea di un suono gutturale
tedesco. Oppure c'è l'allusione scoperta all'esoso peso delle tasse che
opprime gli sventurati abitanti del Bel Paese?
Ricordiamo che ai primi degli anni 50, quando Mondadori pubblica il remake,
è ancora forte il ricordo
dell'esperienza dell'Uomo Qualunque, il movimento nato sulla scia del
settimanale fondato nel 1944 dal giornalista Guglielmo Giannini, arrivato
persino a 850.000 copie a fine 1945 (fonte: Wikipedia), cifre straordinarie
per una comunità post rurale che aveva sempre letto poco. Diciamo, con un
ardito parallelismo e fatte le
debite proporzioni, che si trattò di un giornale che conobbe un'esplosione
di numeri come il ricorso alla rete Internet nei nostri giorni. Contrario al
regime dei partiti, nemico egualmente del fascismo e comunismo, in quanto
espressioni di un centralismo oppressivo, questo grandissimo comunicatore,
colto e brillante, fece dello sberleffo feroce, dell'irrisione sistematica
degli avversari l'arma vincente con la quale parlava alla pancia degli
Italiani, che non mancarono di conferirgli un largo, seppur provvisorio
successo. E così l'austero Ferruccio Parri, Presidente del Consiglio in
carica, diventò nel
suo linguaggio "Fessuccio Parmi"; il "vento del
nord della Resistenza", il "rutto del nord".
Nella visione del Fronte dell'Uomo Qualunque si auspicava che lo Stato non
assumesse funzioni d'indirizzo, ma svolgesse solo compiti di tipo
amministrativo. Insomma, diventasse "un buon ragioniere che entri
in funzione il 1° gennaio, cessi il 31 dicembre e non sia rieleggibile".
Partendo da queste basi, ne discese quasi automaticamente che si
propugnassero, con toni accesi, un'ostilità verso il capitalismo della
grande industria, un acceso liberismo economico individuale, una drastica
limitazione del prelievo fiscale e, non da ultimo, il dimagrimento della
presenza dello Stato nella vita sociale del Paese. Nel 1946 il Fronte
ottenne oltre 1,2 milioni di voti, diventando il quinto partito nazionale.
Insomma, un successo straordinario che si trasformò in meteora per
l'esclusiva vis distruttiva del promotore e dei suoi seguaci. Per la sua
incapacità propositiva il movimento evaporò gradualmente sino alla scomparsa
politica del suo capo, addirittura non più rieletto nel 1953.
Fatta questa digressione, vediamo allora come si comporta il nostro amico
disneyano, una volta messo alla prova. Che il cammino possa essere cosparso
di spine, lo s'intuisce subito, non appena Topolino arriva in Tassonia. Un
sasso frantuma il vetro della sua carrozza, con attaccato un biglietto dello
scaltro avversario, il duca Serpieri (nomen est omen!) che restituisce
sprezzantemente l'ultimo centesimo rimastogli dopo la tosatura fiscale
subita. Ma, nonostante le insidie dei cospiratori e le manovre dei
gattopardi del regno, che vorrebbero solo formalmente cambiare le cose
perché tutto poi restasse immutato, il nostro eroe non si fa mettere il
bavaglio e intende governare sul serio. Vediamo allora come si comporta
Topolino nei panni del re. Cominciano le udienze. Arriviamo in un amen al
clou della "topolinomics".
Per il conte Grifone il reato fiscale ha
conseguenze severe di natura penale. Addirittura chi non paga le tasse è un
traditore dello Stato. Il tono è volutamente
eccessivo e chi curò nel 1951 il lettering della storia volle introdurre
un'evidente ironia (vedi il punto interrogativo nella nuvoletta a destra,
che rende comprensibile il punto di vista che in merito si sta formando il
nostro eroe). D'altronde il profeta dei Chicago Boys, Milton Friedman, non
ebbe negli anni novanta a dichiarare che, nei casi di grande inefficienza
della gestione finanziaria dello Stato, l'evasore fiscale è paragonabile al
patriota, poiché sottrae risorse a un settore pubblico altamente
inefficiente mantenendole nel settore privato della produzione e dei
consumi? Il sovrano emette a tal punto una sentenza assolutoria di
grande effetto. Il debitore, per un anno, non pagherà più balzelli. Siamo
all'apoteosi! Messo di fronte a questa sconvolgente novità, il conte Grifone
obietta "Ma, Sire, non possiamo permettere che un uomo possieda una fattoria
e non
paghi le tasse! Sarà la rovina del paese!". Al che, il Re: "E con ciò? Se
le tasse rovinano la popolazione, il paese sarà egualmente rovinato!"
(il grassetto è di chi scrive). Era, ripeto, il 1951 e nell'Italia arretrata
del dopoguerra si fa largo, per bocca del Re Sorcio, un postulato così
avanzato del "laissez-faire" che forse neanche i maestri della cultura
liberale dell'epoca avevano provato a esplicitare con tanta chiarezza. Vista
la piega che ha ormai preso la storia disneyana, si capisce che non abbiamo
più bisogno di professoroni e di tecnici specializzati. Perché non risolvere
i problemi in prima persona? Detto, fatto. E dopo Topolino esploratore,
investigatore, navigatore, ferroviere, attore e chi più ne ha ne metta,
scopriamo finalmente Topolino contabile! Il compito è complicato e non è
agevole individuare rimedi. Nella vignetta a lato ci rendiamo conto che il
protagonista, in genere sempre ottimista e combattivo, questa volta è
veramente scoraggiato.
Ma, quando si professano i postulati neoliberisti dello sceneggiatore
italiano, tutto diventa più facile.
Vediamo, nell'ordine, le miracolistiche soluzioni individuate nella "topoleconomics":
ENTRATE:
|
USCITE:
|
RISULTATO: PAREGGIO DI BILANCIO |
Conclusione Inevitabile: |
Poteva mancare la spending rewiew? La casta si ribella, ma al Re Sorcio non
manca la dialettica per convincere!
L'alta burocrazia, la nobiltà, i ceti borghesi del cerchio magico
esprimono inizialmente il loro sdegno alla sola idea della diminuzione delle
prebende, ma il monarca tocca la corda patriottica e il gioco è fatto!
La riduzione delle tasse è però cosa facile da proclamare, ma la riduzione
delle uscite richiede una grande fantasia! Eppure il
sovrano (che non demanda agli altri, ma esegue di persona), andando in giro
per il paese troverà una soluzione a tutto. Uno che si chiama Topolino non è
mai banale. Non solo elimina auto blu e pletoriche guardie del corpo. Si
comincia dalle
fondamenta del palazzo, partendo dalla cucina. Il cuoco è blandito e -
nonostante la scarsità della cambusa - assicurerà che farà del suo meglio
per contenere le spese, con altrettanto gustosi risultati.
Vediamo poi che succede nelle campagne, dove incontriamo un
misero contadino
che vanga la terra per coltivare tartufi, unica risorsa dell'agricoltura
locale.
L'esercito ha requisito i maiali da fiuto per farne cibo per la truppa. E,
adesso, come si farà a raccogliere il preziosissimo tubero? Verrebbe quasi
da pensare che Topolino provvederà lui stesso ad annusare le zolle, tanto ha
già fatto praticamente di tutto nella vita precedente. Non c'è bisogno di
tanto: con il solito lampo di genio si trova il rimedio con rapidità. Se
l'armata ha requisito i maiali, mettendo sul lastrico gli allevatori, il Re
decide di dimezzare il numero dei coscritti e i porcelli potranno ritornare
a grufolare nei campi, per sostenere l'industria nazionale del
tartufo.
Restano da convincere i generali, che sono tradizionalmente un osso duro.
Anche qui il protagonista se la cava con eccezionale disinvoltura. Il nostro
eroe è veramente un genio!
Se gli stanziamenti militari saranno ridotti della metà, le caserme potranno
svuotarsi man mano e si otterrà un risparmio notevole. Resta da capire se i
nuovi esodati andranno ad ingrossare il numero dei disoccupati, oppure si
troveranno per loro idonei strumenti di sostegno, tipo cassa integrazione,
per impedire in futuro tensioni sociali nel regno di Michelino XIV. Ci
avviamo alla fine della topolinomics. In un empito di
riconoscenza, il conte Migragna non esita a definire "un portento" il nostro eroe, che ha
determinato, con le sue lungimiranti decisioni, un autentico miracolo in uno
stato disastrato e avviato al tracollo sociale ed economico. Per quanto ci
concerne, la lettura della storia, vista da questo particolare angolo di
visuale, termina qui. Il resto è avventura, agguati, lotta di astuzie.
Scontato ovviamente il lieto fine: dopo molti colpi di scena, il perfido Serpieri sarà sconfitto e, grazie alla forza e all'intelligenza dell'onesto
yankee, l'autentico monarca ritornerà al suo posto, completamente mutato nei
comportamenti. Niente più locali notturni, escort e champagne, ma sobrietà e
senso di responsabilità rivolti al bene comune, assieme alla centralità
della famiglia, per esaltare anche nella fiabesca Gran Tassonia i valori
tipici dell'America degli anni quaranta. Le strisce a destra
mostrano il
ritorno in patria del vero sovrano di Medioka, pronto a sposare l'eterna
fidanzata, la principessa Filina. Il popolo in brodo di giuggiole acclama
l'amico degli umili, il democratico Michelino XIV che arriva su un carro di
fieno anziché sul cocchio dei potenti. A Topolino, trionfatore occulto e
protagonista dell'ennesimo miracolo, toccano molti titoli nobiliari pomposi
(cavaliere, gran scudiero e cose del genere) che non cambiano certamente il
suo stile pratico di vita, tipico dell'eroe borghese del new deal che ha
rappresentato sin dalle sue prime apparizioni sulla carta stampata. Non
resta perciò che scrivere la parola "fine". Contando di aver fatto cosa
gradita,
l'impenitente scriba saluta le amiche e gli amici col consueto affetto.
Enzo Barone (Salerno)
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Amici Comit News - marzo 2014