Amici Comit News - marzo 2014

 

 
 

 

"Abbiamo una stella polare: meno Stato, più mercato; meno centralismo, più sussidiarietà; soprattutto meno tasse,
che sono il fondamento vero dello Statalismo"*

Renato Brunetta su Corsera 21 ottobre 2013


Topolinomics e neoliberismo reaganiano


Quando lessi per la prima volta questo grande classico disneyano, che oggi propongo nella versione del 1951 intitolata "Topolino in Gran Tassonia", non potevo rendermi conto che, precorrendo i tempi, il topo più famoso del mondo aveva anticipato con estrema lucidità i principi di quella che fu definita più tardi la "reaganomics". E' sconcertante constatare come un fumetto, apparentemente innocuo e rivolto a un pubblico di bambini, possa aver illustrato con profetica chiarezza le teorie di un liberismo di maniera al quale si sono richiamati con insistenza i neoconservatori degli ultimi decenni del secolo passato. La storia di cui parliamo - apparsa la prima volta in America a fine 1936 e poi in Italia nel 1937 - fu ripubblicata nei numeri che vanno dal 23 gennaio 1951 al 28 giugno del medesimo anno sul tascabile edito da Mondadori. La versione originale ("Mickey Mouse as the Monarch of Medioka" -"Topolino sosia di Re Sorcio") si ispirava a un film che aveva ottenuto un buon successo, "Il prigioniero di Zenda" e fu illustrata dal grande Floyd Gottfredson; la successiva, alla quale facciamo riferimento, fu interamente ridisegnata tredici anni dopo da Bill Wright, altro eccellente artista, allievo del medesimo Gottfredson. Nel remake italiano il titolo fu mutato in "Topolino in Gran Tassonia".
Quanto alla pellicola, spunto per la vicenda a strisce, ricordiamo che raccontava di un inglese, abile spadaccino, di passaggio per turismo in un immaginario staterello da operetta della mitteleuropa. Il sovrano della Ruritania - così si chiamava il regno - è una perfetta goccia d'acqua del protagonista del film. Così, quando il re viene rapito da alcuni cospiratori che vogliono spodestarlo, il sosia è sollecitato dai legittimisti a impersonarlo, di modo che nessuno possa trarre turbamento dalla scomparsa, e ciò sino alla sconfitta definitiva dei traditori. Con questo stratagemma e dopo molte peripezie, i piani tenebrosi dei congiurati sono abilmente sventati. Solo in età matura e grazie alle straordinarie possibilità di Internet ho potuto verificare che sul fumetto che ci occupa e sui sotterranei suoi riferimenti a una visione neoliberista del mondo, la rete si è più volte soffermata.
Pertanto, cliccando sul tema, si potranno trovare contributi interessanti e non casuali parallelismi tra le enunciazioni di Re Sorcio e le teorie economiche professate e attuate in buona misura dagli anni ottanta in poi in America come in Inghilterra. Per la verità, da noi analoghe misure sono state spesso propagandate, ma di deregulation se n'è vista ben poca. Con questo "pezzullo" non vogliamo assolutamente addentrarci sul terreno della discussione politica, ma solo offrire una divertente occasione di lettura agli amici ai quali le mie paginette sono dedicate. Premetto, come sempre, che i personaggi sono coperti da copyright e che, oltre ai volumetti a mie mani, è stato preziosissimo il commento iniziale della raccolta "Topolino Story 1951", numero 3/2005 edizione speciale per il Corriere della Sera, che riporta la versione degli anni cinquanta. Ai tanti che si sono cimentati poi nei più disparati commenti nella rete, vada il mio riconoscimento affettuoso e la constatazione che, fortunatamente, non sembro essere il solo ad avere la "capa fresca" per dedicarsi, per puro svago, a questo tipo di cose.
Cominciamo col dire che i pilastri della visione economica di Reagan e della Thatcher, ispirati dalla scuola di Chicago e dal guru Milton Friedman furono, in estrema sintesi: la diminuzione della crescita del debito pubblico, la riduzione delle tasse sul lavoro e sui redditi di capitale, la deregolamentazione dell'attività economica, il controllo dell'offerta monetaria e l'abbattimento dell'inflazione. Siamo subito al dunque.
Topolino, in materia, che ne pensa? Ecco a fianco la sua pirotecnica trovata per sopire le rimostranze di un popolino esasperato che, spremuto sino all'osso da un regime rapace, è sull'orlo della rivoluzione. Si noterà che il nostro eroe non fa giri di parole; niente minuetti leziosi e discussioni estenuanti in apposite commissioni parlamentari. Il capo carismatico va subito al cuore del problema e lancia il suo slogan, "NIENTE PIU' TASSE", che è altra cosa rispetto al ragionamento.
Vediamo in quale contesto maturano i rimedi proposti dalla topolinomics. Tanto per cominciare, ci accorgiamo che, grazie al sovrano, non c'è bisogno di faticose mediazioni. Se si profila una crisi, il re - superati a pié pari i faticosi dibattiti - si rivolge direttamente ai cittadini con un dialogo accattivante. Li appella con cordialità, chiamandoli amici e sudditi. Già nel tenore dell'invocazione c'è tutto il programma! I presenti orecchiano infatti un messaggio semplificato, alla loro portata, manifestando un entusiastico consenso. La tecnica adottata ci ricorda qualcosa? Tutto era cominciato quando Topolino, perfetto sosia, come nel film ispiratore, del dissipato monarca della Gran Tassonia, Michelino XIV, è chiamato a sostituirlo sul trono, per salvare il regno dalla rovina economica (vedi la vignetta a destra, che mostra il viveur in piena azione). Il peso dei prestiti internazionali scialacquati dalla corona ha compromesso l'affidabilità del debitore.
Lo spread è alle stelle. I membri del governo fanno ormai il giro dei continenti col cappello in mano per ottenere altri finanziamenti. A causa degli insuccessi riportati, il despota è furibondo e li minaccia perfino di decapitazione.
Avvicinato Topolino con un espediente, gli esponenti politici del derelitto regno gli propongono l'astuto piano. Abbiamo detto che il nostro è, per una miracolosa coincidenza, esattamente identico a re Michelino. Ma, a differenza del dissipato gaudente, è saggio, è brillante, è audace. Gli viene pertanto chiesto di sostituirlo sul trono per qualche tempo, per rimettere a posto le finanze statali. Il vero re verrà spedito in incognito in qualche luogo di lussuosa villeggiatura finché l'opera di risanamento non si sarà conclusa.
Occorre, ovviamente, che il sosia si presti a essere un docile strumento nelle mani dei politici di Tassonia.
Conoscendo il caratterino del personaggio, ciò non sarà però facile.
L'integerrimo topo inizialmente rifiuta, non volendo ledere, da buon liberale, i diritti di Michelino XIV di fare un po' come gli pare. Però il conte Migragna sa toccare il cuore generoso di Topolino facendogli balenare le conseguenze di un inganno provvisorio a fin di bene: i diseredati di Gran Tassonia, attraverso la condotta oculata del sostituto, potrebbero essere redenti dalla miseria incombente.
Topolino accetta ma, appena insediato sul trono, invece di fare ciò che desiderano i consiglieri, prenderà in mano la situazione e proverà a risolvere in modo definitivo i problemi economici, amministrativi e sociali del paese. Il suo piglio
decisionale si contrapporrà immediatamente alle manfrine diplomatiche degli esponenti dell'ancien regime. A proposito: la Gran Tassonia si chiama così per un richiamo fonetico alla Sassonia? Abbiamo visto che nella versione italiana Michelino XIV parla con la zeta al posto della "c", forse per dare un'idea di un suono gutturale tedesco. Oppure c'è l'allusione scoperta all'esoso peso delle tasse che opprime gli sventurati abitanti del Bel Paese?
Ricordiamo che ai primi degli anni 50, quando Mondadori pubblica il remake, è ancora forte il ricordo dell'esperienza dell'Uomo Qualunque, il movimento nato sulla scia del settimanale fondato nel 1944 dal giornalista Guglielmo Giannini, arrivato persino a 850.000 copie a fine 1945 (fonte: Wikipedia), cifre straordinarie per una comunità post rurale che aveva sempre letto poco. Diciamo, con un ardito parallelismo e fatte le debite proporzioni, che si trattò di un giornale che conobbe un'esplosione di numeri come il ricorso alla rete Internet nei nostri giorni. Contrario al regime dei partiti, nemico egualmente del fascismo e comunismo, in quanto espressioni di un centralismo oppressivo, questo grandissimo comunicatore, colto e brillante, fece dello sberleffo feroce, dell'irrisione sistematica degli avversari l'arma vincente con la quale parlava alla pancia degli Italiani, che non mancarono di conferirgli un largo, seppur provvisorio successo. E così l'austero Ferruccio Parri, Presidente del Consiglio in carica, diventò nel suo linguaggio "Fessuccio Parmi"; il "vento del nord della Resistenza", il "rutto del nord".
Nella visione del Fronte dell'Uomo Qualunque si auspicava che lo Stato non assumesse funzioni d'indirizzo, ma svolgesse solo compiti di tipo amministrativo. Insomma, diventasse "un buon ragioniere che entri in funzione il 1° gennaio, cessi il 31 dicembre e non sia rieleggibile". Partendo da queste basi, ne discese quasi automaticamente che si propugnassero, con toni accesi, un'ostilità verso il capitalismo della grande industria, un acceso liberismo economico individuale, una drastica limitazione del prelievo fiscale e, non da ultimo, il dimagrimento della presenza dello Stato nella vita sociale del Paese. Nel 1946 il Fronte ottenne oltre 1,2 milioni di voti, diventando il quinto partito nazionale. Insomma, un successo straordinario che si trasformò in meteora per l'esclusiva vis distruttiva del promotore e dei suoi seguaci. Per la sua incapacità propositiva il movimento evaporò gradualmente sino alla scomparsa politica del suo capo, addirittura non più rieletto nel 1953.
Fatta questa digressione, vediamo allora come si comporta il nostro amico disneyano, una volta messo alla prova. Che il cammino possa essere cosparso di spine, lo s'intuisce subito, non appena Topolino arriva in Tassonia. Un sasso frantuma il vetro della sua carrozza, con attaccato un biglietto dello scaltro avversario, il duca Serpieri (nomen est omen!) che restituisce sprezzantemente l'ultimo centesimo rimastogli dopo la tosatura fiscale subita. Ma, nonostante le insidie dei cospiratori e le manovre dei gattopardi del regno, che vorrebbero solo formalmente cambiare le cose perché tutto poi restasse immutato, il nostro eroe non si fa mettere il bavaglio e intende governare sul serio. Vediamo allora come si comporta Topolino nei panni del re. Cominciano le udienze. Arriviamo in un amen al clou della "topolinomics". Per il conte Grifone il reato fiscale ha conseguenze severe di natura penale. Addirittura chi non paga le tasse è un traditore dello Stato. Il tono è volutamente
eccessivo e chi curò nel 1951 il lettering della storia volle introdurre un'evidente ironia (vedi il punto interrogativo nella nuvoletta a destra, che rende comprensibile il punto di vista che in merito si sta formando il nostro eroe). D'altronde il profeta dei Chicago Boys, Milton Friedman, non ebbe negli anni novanta a dichiarare che, nei casi di grande inefficienza della gestione finanziaria dello Stato, l'evasore fiscale è paragonabile al patriota, poiché sottrae risorse a un settore pubblico altamente inefficiente mantenendole nel settore privato della produzione e dei consumi? Il sovrano emette a tal punto una sentenza assolutoria di grande effetto. Il debitore, per un anno, non pagherà più balzelli. Siamo all'apoteosi! Messo di fronte a questa sconvolgente novità, il conte Grifone obietta "Ma, Sire, non possiamo permettere che un uomo possieda una fattoria e non
paghi le tasse! Sarà la rovina del paese!". Al che, il Re: "E con ciò? Se le tasse rovinano la popolazione, il paese sarà egualmente rovinato!" (il grassetto è di chi scrive). Era, ripeto, il 1951 e nell'Italia arretrata del dopoguerra si fa largo, per bocca del Re Sorcio, un postulato così avanzato del "laissez-faire" che forse neanche i maestri della cultura liberale dell'epoca avevano provato a esplicitare con tanta chiarezza. Vista la piega che ha ormai preso la storia disneyana, si capisce che non abbiamo più bisogno di professoroni e di tecnici specializzati. Perché non risolvere i problemi in prima persona? Detto, fatto. E dopo Topolino esploratore, investigatore, navigatore, ferroviere, attore e chi più ne ha ne metta, scopriamo finalmente Topolino contabile! Il compito è complicato e non è agevole individuare rimedi. Nella vignetta a lato ci rendiamo conto che il protagonista, in genere sempre ottimista e combattivo, questa volta è veramente scoraggiato.
Ma, quando si professano i postulati neoliberisti dello sceneggiatore italiano, tutto diventa più facile.

Vediamo, nell'ordine, le miracolistiche soluzioni individuate nella "topoleconomics":

 

 

ENTRATE:
 

 

USCITE:
 

RISULTATO:
PAREGGIO DI BILANCIO
Conclusione
Inevitabile:


Poteva mancare la spending rewiew? La casta si ribella, ma al Re Sorcio non manca la dialettica per convincere!

 
 


L'alta burocrazia, la  nobiltà, i ceti borghesi del cerchio magico esprimono inizialmente il loro sdegno alla sola idea della diminuzione delle prebende, ma il monarca tocca la corda patriottica e il gioco è fatto!
La riduzione delle tasse è però cosa facile da proclamare, ma la riduzione delle uscite richiede una grande fantasia! Eppure il
sovrano (che non demanda agli altri, ma esegue di persona), andando in giro per il paese troverà una soluzione a tutto. Uno che si chiama Topolino non è mai banale. Non solo elimina auto blu e pletoriche guardie del corpo. Si comincia dalle fondamenta del palazzo, partendo dalla cucina. Il cuoco è blandito e - nonostante la scarsità della cambusa - assicurerà che farà del suo meglio per contenere le spese, con altrettanto gustosi risultati.
Vediamo poi che succede nelle campagne, dove incontriamo un misero contadino che vanga la terra per coltivare tartufi, unica risorsa dell'agricoltura locale.
L'esercito ha requisito i maiali da fiuto per farne cibo per la truppa. E, adesso, come si farà a raccogliere il preziosissimo tubero? Verrebbe quasi da pensare che Topolino provvederà lui stesso ad annusare le zolle, tanto ha già fatto praticamente di tutto nella vita precedente. Non c'è bisogno di tanto: con il solito lampo di genio si trova il rimedio con rapidità. Se l'armata ha requisito i maiali, mettendo sul lastrico gli allevatori, il Re decide di dimezzare il numero dei coscritti e i porcelli potranno ritornare a grufolare nei campi, per sostenere l'industria nazionale del tartufo.
Restano da convincere i generali, che sono tradizionalmente un osso duro. Anche qui il protagonista se la cava con eccezionale disinvoltura. Il nostro eroe è veramente un genio! Se gli stanziamenti militari saranno ridotti della metà, le caserme potranno svuotarsi man mano e si otterrà un risparmio notevole. Resta da capire se i nuovi esodati andranno ad ingrossare il numero dei disoccupati, oppure si troveranno per loro idonei strumenti di sostegno, tipo cassa integrazione, per impedire in futuro tensioni sociali nel regno di Michelino XIV. Ci avviamo alla fine della topolinomics. In un empito di riconoscenza, il conte Migragna non esita a definire "un portento" il nostro eroe, che ha determinato, con le sue lungimiranti decisioni, un autentico miracolo in uno stato disastrato e avviato al tracollo sociale ed economico. Per quanto ci concerne, la lettura della storia, vista da questo particolare angolo di visuale, termina qui. Il resto è avventura, agguati, lotta di astuzie. Scontato ovviamente il lieto fine: dopo molti colpi di scena, il perfido Serpieri sarà sconfitto e, grazie alla forza e all'intelligenza dell'onesto yankee, l'autentico monarca ritornerà al suo posto, completamente mutato nei comportamenti. Niente più locali notturni, escort e champagne, ma sobrietà e senso di responsabilità rivolti al bene comune, assieme alla centralità della famiglia, per esaltare anche nella fiabesca Gran Tassonia i valori tipici dell'America degli anni quaranta. Le strisce a destra mostrano il ritorno in patria del vero sovrano di Medioka, pronto a sposare l'eterna fidanzata, la principessa Filina. Il popolo in brodo di giuggiole acclama l'amico degli umili, il democratico Michelino XIV che arriva su un carro di fieno anziché sul cocchio dei potenti. A Topolino, trionfatore occulto e protagonista dell'ennesimo miracolo, toccano molti titoli nobiliari pomposi (cavaliere, gran scudiero e cose del genere) che non cambiano certamente il suo stile pratico di vita, tipico dell'eroe borghese del new deal che ha rappresentato sin dalle sue prime apparizioni sulla carta stampata. Non resta perciò che scrivere la parola "fine". Contando di aver fatto cosa gradita, l'impenitente scriba saluta le amiche e gli amici col consueto affetto.

 

Enzo Barone (Salerno)


 

 

 

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