Una nota del 2006 sul Fondocomit di Luigi Gulizia, particolarmente interessante sotto il profilo storico e pratico

SINTESI ESPOSITIVA DELLA VICENDA RELATIVA AL FONDO PENSIONI COMIT

 

 

Origini del Fondo.

 

Il Fondo di previdenza per il Personale della Banca Commerciale Italiana, d’ora in poi il Fondo Pensioni Comit, nasce per impulso unilaterale della Banca con Regio Decreto datato 11 Agosto 1921, n.1201, a seguito del quale viene eretto in Ente morale con approvazione dello Statuto.

Esso, quindi, non trae le sue origini dalla contrattazione collettiva e trova la sua fonte istitutiva esclusivamente in una sola parte: la Banca Commerciale Italiana.

Con Decreto del Presidente della Repubblica 9 Febbraio 1956, n.279, esso assunse la denominazione di “Fondo pensioni per il Personale della Banca Commerciale Italiana” con approvazione di nuovo Statuto.

Con successivo Decreto del Presidente della Repubblica pubblicato nella G.U. del 5 Novembre 1971 col n. 886 si approvarono alcune modifiche dello Statuto su domande del Presidente del Fondo del 25 ottobre e 15 novembre 1968 e 30 gennaio 1970.

 

 

Partecipazione al Fondo dei Dipendenti Comit.

 

Lo Statuto modificato del 1971 prevedeva, in ordine alla partecipazione al Fondo, il contributo obbligatorio di tutti i Dipendenti Comit con alcune esclusioni.

Al TITOLO IV art. 17 di detto Statuto era, infatti, scritto che:

La partecipazione al Fondo Pensioni, costituendo parte integrante del contratto di lavoro corrente tra la Banca e il suo Personale, è obbligatoria per tutti i suoi dipendenti con le sole eccezioni..”

In punto si osserva che:

- tale previsione normativa era già palesemente in contrasto specificatamente con l’art. 23 della vigente Costituzione della Repubblica Italiana in base al quale:

Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.”

Di fatto, quindi, la obbligatoria partecipazione al Fondo Pensioni Comit inscindibile dal contratto di lavoro sottostante, costituiva violazione della Costituzione attuata mediante abuso di posizione dominante, qual’era quella tipica della Banca, nei confronti del soggetto più debole come è colui che è alla ricerca di un contratto di lavoro subordinato per garantirsi i propri mezzi di sussistenza.

Da quanto precede discende la radicale nullità della partecipazione obbligatoria al Fondo per violazione di norme imperative e, quindi, per causa illecita. Tale nullità, peraltro imprescrittibile, non fu mai eccepita da alcuna parte.

 

 

Destinazione dei contributi al Fondo.

 

Sempre nello Statuto del 1971, allo stesso TITOLO IV all’art.18 si prevedeva che:

I contributi da versare al FONDO PENSIONI sono dovuti dai Partecipanti in attività di servizio nella misura minima del 7,75% dell’ammontare delle retribuzioni soggette a contribuzione per l’assicurazione obbligatoria di invalidità, vecchiaia e superstiti…

Detti contributi dovuti dai Partecipanti vengono trattenuti dalla Banca all’atto del pagamento degli emolumenti e versati al Fondo Pensioni che li accredita in un Conto Speciale intestato a ogni singolo Partecipante.”

Nelle NOTE datate Novembre 1971 e inserite nel volumetto del summenzionato Statuto si legge anche, in ordine al REGIME CONTRIBUTIVO, in seconda pagina di copertina dal rigo 7 che:

“…….gli iscritti al Fondo aziendale……..fruiscono così, oltre che della pensione obbligatoria, del trattamento a carico del Fondo commisurato all’intera contribuzione versata al medesimo.”

 

 

Dalle modifiche statutarie del 1976 e del 1991 all’Accordo del 16 Dicembre 1999.

 

Il regime contributivo previsto era evidentemente un regime di CAPITALIZZAZIONE e così, infatti, veniva descritto in un opuscolo informativo Comit a pag. 8.

Va notato, peraltro, che trattandosi di previdenza complementare privata il regime era per sua propria natura di carattere privatistico e, conseguentemente, la CAPITALIZZAZIONE non poteva che essere INDIVIDUALE come, d’altro canto, discende dalla stessa lettera della descrizione di esso appena riportata.

Nel 1976,per motivi ignoti,tale sistema venne modificato con un regime di PARZIALE RIPARTIZIONE attraverso il quale una quota del 25% dei contributi veniva utilizzata per la erogazione diretta ai già pensionati. Nel 1991, ancora per motivi ignoti, anche questo regime venne modificato con un sistema di CAPITALIZZAZIONE COLLETTIVA A PREMIO MEDIO GENERALE in cui, secondo quanto si legge in un documento difensivo della Banca:

….l’equilibrio tecnico-attuariale era calcolato, considerandosi come posta attiva di bilancio il valore attuale dei contributi degli iscritti futuri. I sistemi di questo tipo si basano sul presupposto che il numero degli iscritti rimanga costante nel tempo…..”

In buona sostanza si era passati dal regime privatistico vigente fino al 1975  a forme sempre più esasperate di modelli pubblicistici quale il regime INPS che non potevano evidentemente trovare spazio in forme di previdenza complementare tant’è che, nel disperato tentativo di trovarvi una legittimazione purchessia, si è costretti a sostenere, in modo fantascientifico, che l’equilibrio tecnico-attuariale si basava sul presupposto della costanza del numero degli iscritti.

Tutto ciò nel momento in cui il numero dei partecipanti già era in costante discesa a seguito delle politiche di blocco delle assunzioni prima e di esodo poi che cominciavano a costituire la generale ristrutturazione del settore creditizio!!!!

Il collasso del Fondo, a seguito delle sciagurate riforme del 1976 e del 1991, era quindi perfettamente prevedibile e inscritto in tali logiche gestionali facenti capo a un Consiglio di Amministrazione del Fondo composto da rappresentanti sindacali e da membri della Banca con un Presidente espresso dalla Banca stessa.

Né va dimenticato che a quelle riforme diedero parere favorevole, nel 1978 e nel 1992, il Con- siglio di Stato e il Ministero del Lavoro!!!

In tale quadro si inserì il dlgs. 21 aprile 1993, n.124.   

Esso fu evidentemente interpretato da parte della Banca come la ciambella di salvataggio che le consentiva di uscire da una situazione sempre più sgradita di cui era giunto il momento di liberarsi facendo ricadere il carico finanziario sulle spalle di chi aveva costretto a lasciarle quattrini e libertà di manovra in barba alle statuizioni del dettato costituzionale. Anzi, tanta era la

libertà di manovra di cui si godeva nel Fondo che, come è notorio tra il Personale Comit, molti atti vi furono a carattere patrimoniale non in linea con le sue finalità e tali da aggravarne ulteriormente la già precaria situazione finanziaria. 

Poiché il dlgs prevedeva l’istituzione di forme di previdenza complementare a CONTRIBUZIONE DEFINITA E A CAPITALIZZAZIONE INDIVIDUALE, vale a dire per ironia della sorte il regime vigente nel Fondo Comit fino al 1975, se ne volle furbescamente dedurre che a causa del dlgs stesso quell’equilibrio tecnico-attuariale basato sul presupposto della costanza del numero degli iscritti non era più possibile e che, pertanto, in obbedienza alla legge occorre va trovare un rimedio allo squilibrio la cui origine pretestuosa fu attribuita al dlgs!!!!!

In altre parole, quello che era uno squilibrio determinato dalle riforme del 1976 e del 1991, fu attribuito a una normativa ben posteriore che, se mai, suonava proprio come implicito rigetto di quelle riforme approvate, è doveroso ricordarlo, con il beneplacito del Consiglio di Stato e del Ministero del Lavoro. 

Nella convinzione di aver trovato la scappatoia giuridica per sottrarsi alle proprie pesanti responsabilità nei confronti della platea degli sfortunati Partecipanti al Fondo, nel Dicembre del 1999, con atto unilaterale, la Banca notificò alle Organizzazioni Sindacali il proprio recesso da tutti i precedenti accordi in materia giungendo, per questa via, alla stipulazione di un nuovo Accordo in data 16 Dicembre 1999.

Poiché il buco nei conti pensionistici annunciato fino a quel momento ascendeva all’astronomica cifra di 800 Miliardi delle vecchie lire, la Banca accettò, bontà sua, di erogare un contributo prima cifrato in 50 Miliardi successivamente portato a 100 miliardi diluito in un arco di tempo decennale. In percentuale si trattava del 12,5% sull’entità dell’ammanco!!!!!!!!

L’Accordo prevedeva, come ovvio, drastici e intollerabili tagli, altrimenti denominati con notevole fantasia “zainetti”, a carico dei Partecipanti al Fondo secondo determinati parametri e variamente attribuiti in base a fasce/classi di anzianità.

Una puntuale tabella di tali tagli è rinvenibile nel Comunicato di SINDIRIGENTI CREDITO del 23 Dicembre 1999. In linea generale essi arrivano a superare anche il 50%.

L’Accordo era, in realtà, come sempre e in dipendenza della stessa natura coercitiva originaria della partecipazione al Fondo, un semplice “diktat”. Si poteva solo accettarlo o rifiutarlo con conseguenze economiche ulteriormente peggiorative.

 

 

Azione esercitata in Milano.

 

Contro gli ingenti danni arrecati dal Fondo Pensioni Comit è partita, a fine 2004, la causa promossa da 17 tra ex dipendenti ed altri tuttora in servizio nella attuale Banca Intesa che, come noto, ha assorbito la preesistente Banca Commerciale Italiana.

L’azione mira al riconoscimento e alla tutela dei diritti lesi attraverso la obbligatoria partecipazione al Fondo incorporata inscindibilmente nel contratto di lavoro da ciascuno stipulato con la ex Comit e che, pertanto, chiama direttamente in causa la responsabilità contrattuale della stessa.

Durante il 2005 si sono svolte udienze di trattazione presso il Tribunale di Milano Sezione Lavoro. Nel Dicembre dello stesso anno, a seguito della messa in vendita a mezzo Asta di cespiti immobiliari di pertinenza del Fondo Pensioni, è stata inoltrata istanza di sequestro conserva- tivo la pronuncia sulla quale era stata indicata per il 27 Dicembre e che, invece, ad oggi non  ha visto alcun seguito pur con il carattere di urgenza rivestito da detta istanza.

 

 

Giurisprudenza in materia di previdenza complementare.

 

Si citano alcune sentenze della Suprema Corte di Cassazione nella materia di che trattasi.

- Cassazione 21 gennaio 1998, n.524 : “…..quando il regime previdenziale aziendale ha funzione integrativa del regime pubblico, i contributi devono essere considerati come retribuzione differita in funzione previdenziale: una parte della retribuzione viene accantonata durante il rapporto di lavoro per essere erogata al termine di esso e costituisce in sostanza un trattamento di fine rapporto.”

Da notare che tale sentenza è anteriore di ben 2 anni all’Accordo 16 Dicembre 1999. 

- Cassazione 2 novembre 2001, n.13558. – I contributi versati dall’Azienda a favore del lavoratore per alimentare un fondo integrativo di previdenza fanno parte della retribuzione – Vanno calcolati ai fini dell’indennità di anzianità e del t.f.r. 

- Cassazione 14 ottobre 2002, n.14591 – I contributi versati dall’azienda a un fondo di previdenza integrativa fanno parte della retribuzione – Devono perciò essere inclusi nel calcolo del t.f.r. 

- Cassazione 12 novembre 2002, n.15863 – I trattamenti previdenziali integrativi non possonoessere riformati con accordi sindacali senza il consenso dei singoli lavoratori beneficiari. – Il recesso unilaterale da parte dell’azienda non è consentito.

Su quest’ultimo punto va notato il comportamento esattamente contrario della ex Comit.

 

 

Conclusioni.

 

Sulla vicenda del Fondo Pensioni Comit è stato calato un silenzio pressocchè totale che provoca ragionevoli sospetti di molteplici interessi convergenti nel momento in cui la ricca torta della previdenza integrativa alimenta i voraci appetiti di Banche e Assicurazioni.

Il Fondo Comit, nella sua manifesta e arrogante scandalosità finanziaria, potrebbe suonare, se correttamente reso noto alla pubblica opinione, come un ulteriore campanello d’allarme non gradito assieme ai vari scandali Parmalat, Cirio, Argentina, Banca Popolare Italiana ecc. ecc. gestiti dalle abili mani dei tanti “furbetti del quartierino”.

Ecco perché, invece, è importante che se ne parli affinché non diventino puro e semplice terre no di conquista anche i cosiddetti trattamenti pensionistici integrativi. A meno che l’integrazione non si intenda a favore dei citati “furbetti del quartierino”!!!!

 

 

 

Milano, 12 Febbraio 2006                                            Dott. Luigi Gulizia      

 

   

 

Nota.

Il sottoscritto redattore del presente documento informativo è, insieme al Sig. Augusto Sala, partecipante in proprio e per procura speciale del Gruppo dei 17 ricorrenti nella causa promossa avanti il Tribunale di Milano Sezione Lavoro contro i danni rivenienti dalla coercitoria partecipazione al Fondo Pensioni Comit.   

Insieme al Gruppo di Milano è stata esercitata medesima azione in La Spezia da altro e più numeroso Gruppo di colleghi della ex Comit con gli stessi motivi di doglianza avverso il FondoPensioni.

Va inoltre rilevato che in tutta Italia sono pendenti cause intentate contro i danni dipendenti dalla partecipazione al Fondo.

A suo tempo è stata anche inoltrata una interrogazione parlamentare di cui non si sono più avute notizie e che è da considerarsi, conseguentemente, “dispersa”.

Di tutte queste iniziative che pure indicano una rivolta morale e materiale contro quella che è appropriatamente definibile come “LA BEFFA DEL FONDO COMIT” nessun organo di stampa appare essersi interessato né tanto né poco nonostante una posta in gioco che, oltre ai quattrini spariti in abbondanza, è indice del nessun conto in cui vengono tenuti gli interessi di lavoratori e risparmiatori. Nelle parole dell’ex Governatore di Bankitalia, Fazio, che riteneva affare di qualche vecchietta lo scandalo Parmalat sta scritta l’ispirazione reale di una intiera classe di arrogante potere.
 

 

Allegato: Fondamenti giuridici della richiesta attorea

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