SEMEL SCOUT, SEMPER SCOUT - di Virginio Inzaghi (Pavia)

 

5a puntata

 

Monsignore Vescovo (sia che mi conoscesse, sia che ne fui raccomandato da Don Camillo) mi mandò la chiave della “cantina” del vescovado, in realtà due bei locali a volta comunicanti tra loro, alti, asciutti, a cui si accedeva dalla Piazzetta laterale del Vescovado, detta del Regisole, e quindi con entrata indipendente.
Anche a Milano successe la stessa cosa e, tranne alcuni Gruppi “celebri” (in particolare il 1° di Don Ghetti ed il IV° di Don Aceti) anche molti altri Gruppi, rimasti vacanti, si sciolsero.
Tutti i Capi si trovarono pertanto impegnati nell’opera di recupero e salvataggio e la grande Milano si rivolse allora alla piccola Pavia perchè si impegnasse in campo regionale per permettere loro un’ampia azione di recupero.
Il geom. Carlo Sordi, che dirigeva l’attuale Gruppo Pavia I, fu chiamato ad essere l’incaricato Regionale di Branca scout ed io fui convocato a Milano da Don Guido che, senza tanti preamboli, mi comunicò che dovevo sostituirlo nell’incarico regionale... e di buon grado...per amore della Giungla, in quanto da Roma era giunta una diffida per cui un “prete” non poteva essere Incaricato Regionale di una Associazione laica, e Don Guido mi cedeva lo scettro di Akela di Lombardia e la conseguente guida del Branco del Lago.
Ma di Akela, come Don Aceti, non ci poteva essere che lui e pertanto, secondo il Libro della Giungla, assunsi il nome di Phao del Lago, il successore di Akela nel Branco di Seeonee.
Mi sembrò molto strano che la grande Milano si rivolgesse a dei modesti Capi Unità di una piccola città provinciale per un incarico tanto importante e di responsabilità, ma fu però così che divenni Incaricato Regionale.
Ma che doveva fare un incaricato regionale?
Iniziò così, per noi due, una intensa spola Pavia - Milano con la coscienza e la paura di non essere all’altezza del compito che ci era assegnato ma che accettavamo secondo lo spirito di B.P. che assicura che l’impossibile non esiste, con l’intenzione ovvia di fare del nostro meglio, fidando anche nel fraterno aiuto dei Capi milanesi della famosa Via Burigozzo, e che, in verità, non ci venne a mancare.
Dovevamo bruciare le tappe della nostra formazione, allargare la nostra visuale a problemi assai più grandi dei nostri problemi cittadini che pure non potevamo abbandonare, e buttarci a corpo morto nella nuova avventura.
Mi ricordo che la presentazione dei nuovi Incaricati avvenne in un teatro milanese. Noi eravamo sul palco, il salone era gremito di Capi, si parlava delle iniziative e dei rapporti coi genitori. Quando fu chiesto il mio parere, risposi se tutte queste azioni e contatti coi genitori potevano essere gradite ai ragazzi. Fu una specie di gaffe, fatta risaltare da Don Guido che mi chiese somionamente se la mia era “una affermazione o una provocazione ” !!
Mi sentivo, ed ero, scoutisticamente piccolo di fronte ai Capi storici che mi circondavano per cui decisi di parlare il meno possibile, ad evitare critiche o compatimento, ma di ascoltare e imparare il più possibile.
Osservare, dedurre e poi fare è l’insegnamento dettatoci da B.P.
Compito primo di un Incaricato Regionale è la formazione Capi per cui la mia prima preoccupazione fu di avere presente il quadro della situazione: nel 1949 in Lombardia vi erano 15 Branchi e quindi una ventina di Capi Branco: un numero giusto per quel primitivo Branco del Lago.
Ma non dovevo per altro tralasciare anche il mio Branco, anzi ritenevo necessario guidarlo come prima, per conoscere sempre di più le esigenze dei bambini ed essere a contatto con loro, per esaminare l’applicazione pratica del metodo.
Da tempo aveva programmato un incontro con il Branco di Sondrio e lo effettuai con pernottamento, mentre indicevo la riunione annuale del Branco del Lago, per conoscere e farmi conoscere dai Capi Branco in vista anche del tradizionale campo regionale di San Giorgio.
Narro la mia vita di quei primi anni, attività, errori, intenzioni e intuizioni, per dimostrarvi che, come vuole la Giungla, non saremo mai sazi di quanto abbiamo e sappiamo, perchè anche altri imparino che, quanto più ci sono difficoltà, tanto più dev’essre forte il nostro impegno.
È troppo comodo (per non dire vile) ritirarsi da un impegno o non accettarlo per... paura di esserne legato e non poterlo lasciare a nostro piacimento, salvo vi siano motivi seri che lo giustifichino.
Accettare un incarico solo perchè non c’è altro capo disponibile, non esime chi accetta l’incarico di fare veramente “del proprio meglio”.
Offrire un anno della propria vita a guidare un Branco e poi lasciarlo lo consideravo un atto di generosità che però apriva nella formazione dei bambini tante incognite e falle quando l’Akela era sostituito con un altro che doveva riprendere da capo a conoscere ad uno ad uno le capacità e lo spirito dei bambini con cui aveva a trattare. Sarei a ribattere il chiodo del “Lupettismo orizzontale” in cui l’impegno annuale è possibile, il passaggio è più morbido e previsto, il nuovo Capo già conosciuto nelle attività di “tutto” il Branco...
Ma il 1950 doveva essere per me un anno particolare: con poco preavviso venne a Pavia Fausto Catani, l’Akela d’Italia: stava ricostituendo la Pattuglia Nazionale della Branca Lupetti e, mi disse, non poteva mancare in essa il rappresentante di Lombardia, la regione che aveva il maggior numero di Branchi ed in eterna competizione con Roma.
Stava recandosi in Norvegia ove avrebbe realizzzato un Documentario (era la sua passione) e ne approfittava per una sosta volante a Pavia.
Mi voleva conoscere di persona, fu contento che io non fossi un milanese per cui non aveva la soggezione di trovarsi di fronte ad aquile randagie o a Capi di ampia e qualificata capacità scout e critica, per cui il nostro incontro fu veramente fraterno, vide che ero un “semplice”, ricco solo di buona volontà e senza preconcetti di sorta.
Lo presentai anche al mio modesto ma efficiente Branco, che ne fu entusiasta, e così il destino volle che fossi chiamato a far parte anche della Pattuglia Nazionale accompagnandomi a nuovi carissimi amici come furono Carlo Trevisan. Pietro Paolo Severi, Guido Cortuso...
Con loro affinai le mie cognizioni pedagogiche del Metodo, ne imparai gli aspetti complementari che Catani ci trasmise dopo il suo Campo Scuola a Gilwell, divenni collaboratore di “Jau!!” (il giornalino dei Lupetti) col nome di Phao del Lago (Akela del Lago era stato Don Guido e quando nella Giungla Akela scompare il Branco è affidato a Phao!).
Devo dire che questa collaborazione, da me iniziata col Commissariato Centrale fu sempre perseguita in ogni epoca anche quando vi furono discordanze di impostazione.
Anche i miei incontri col Branco del Lago furono molto positivi: vi ritrovavo diversi degli allievi di Colico, giocavamo assieme, consegnavo nuovi foulard, parlavamo di tante cose con entusiasmo e vivacità.
Nell’ambito di tante discussioni venne in risalto il fatto che il nostro “vangelo lupettistico” (il Manuale dei Lupetti) aveva avuto, presso ciascuno, uno studio limitato e superficiale: non c’era tempo per leggere, c’erano troppe cose da fare col Branco, mi dicevano.
Eppure era assolutamente necessario che ogni tanto ci fermassimo in una pausa di studio e meditazione.
Mi riproposi dunque di studiare per loro il Manuale dei Lupetti portando i frutti delle mie riflessioni al loro commento nelle riunioni del Lago. È un lavoro che feci tra il 1950 ed il
1951: lo rifatto ora ed ho trovato forse che sono ossa vecchie ma non ancora secche, che c’è ancora attaccata molta, molta polpa di cui qualche giovane Capo potrà nutrirsi....

Io adottai e portai per diversi anni (e non solo durante le attività col Branco ma anche quando funzionai come Capo Riparto) il maglione verde stile lupetto, ma l’idea non ebbe gran seguito e solo pochi altri Capi seguirono quest’usanza.
1950/51 = Non ebbi le ferie per poter partecipare al Campo estivo del Riparto che si svolse a Riva Valdobbia in quel di Vercelli, con la presenza di Don Vigotti, un Parroco al campo (anche se dormiva in Canonica) dava scandalo ai suoi confratelli, ma era anche segno di quanto affetto ancora ci portava e della gioia di stare con noi.
Mi ero nel frattempo procurato una Tendina a due posti del tipo “Luppola” con doppio tetto e la inaugurammo con una scampagnata ferragostiana. Eravamo in tre: Io, Ferri e Franco Marchino, un giovane Rover, intelligente e laborioso.
La meta era elusone (presso Bergamo) e di qui ad una baita in montagna dove Ferri aveva trascorso i mesi repubblichini, col fratello, per sfuggire all’arruolamento volontario.
La trovammo dopo una lunga marcia per stretti e ripidi sentieri, così Ferri ritrovò gli amici ospitanti e passammo ore di ricordi e di notizie.
Il percorso ci aveva portati sull’altro versante del monte per cui, il mattino seguente, per non rifare la stessa strada, fummo consigliati di raggiungere la località di Bagolino e di lì saremmo giunti a elusone.
Scendemmo ma non v’erano indicazioni di sorta e alle nostre richieste sulla strada da fare ci fu risposto da un villico nello stretto dialetto bergamasco per cui non capimmo una sola parola, o meglio comprendemmo solo la parola ed il gesto che ci parve “Bagolino” ed il gesto della mano che ci gesto che indicava una specie di cava lontana.
La raggiungemmo che era rimbrunire ed a quell’ora avremmo già dovuto essere a elusone.
Non era una cava: era un condotto che attraversava la montagna e, si vedeva, da tempo in disuso ma comunque ci avrebbe fatto risparmiare parecchio tempo senza dover risalire e scendere quel nuovo colle.
Ci inoltrammo: era abbastanza alto, diritto e assai lungo e si vedeva sul fondo, parecchio in fondo, la piccola luce dell’uscita. Si poteva camminare in piedi ma il fondo era smosso, fangoso ed incerto per cui si avanzava lentamente e, col calar della sera, diveniva completamente buio. Avevamo le pile che ci permettevano di avanzare ma, in diversi tratti, sgocciolava acqua fredda, e tanto fredda che Franco si sentì male.
Non distavamo ormai molto dall’uscita che raggiungemmo portandoci dietro il paziente, che poi stendemmo a terra sull’erba fresca, e che si riebbe all’alitare di una fresca brezza e del nostro amichevole scazzottamento per farlo rinvenire.
In fondo si vedevano le luci della cittadina che, dopo una pausa ristoratrice coi viveri rimasti, raggiungemmo a notte fonda.
Sapevamo che ormai di treni non ne partivano più fino al mattino seguente per cui accampammo: Ferri e Franco in tenda, io fuori sotto il doppio tetto, nel mio sacco piuma. A turno uno stava fuori, e non era un problema perchè d’agosto era caldo, e la tenda aveva solo due posti e questo lo sapevamo in partenza.
Senza saperlo, avevamo posto la tenda proprio nei giardini della stazione, sicché, svegliandoci, ci trovammo alla mercè della gente in partenza.
“Lo scout sorride e canta “ anche in queste incresciose occasioni ed è quello che anche noi facemmo.
Giunti a Pavia, verso le nove del mattino, trovammo a riceverci il fratello di Ferri, l’ing. Orazio, cui consegnai il mio zaino, raggiungendo di corsa il Mercato, in divisa da “fascista” come mi additarono i fruttivendoli compratori, prendendo subito il mio posto di “lavoratore”.
Direte: è tutto qui ? Che importanza può avere una scampagnata del genere ? Io la segnalo solo per mettere nuovamente in evidenza che un Capo Unità è anche Rover e che non deve tralasciare la sua formazione fisica, morale, intellettuale e religiosa. Spesso un Capo Unità è portato ad interessarsi solamente della propria Unità e può anche dedicarvi un lavoro indefesso a scapito però della sua formazione. E non è bene.
Venne presto l’autunno e con esso l’inizio ufficiale dell’anno scout: lo iniziai con una Grande Caccia del Branco a Desio, con la costituzione di una “specie di Cooperativa” per la fornitura del materiale per i ragazzi, stampando dei “Buoni Picozza” da L. 1000.= che, sottoscritti dai genitori, permettevano di avere un cospicuo capitale per cui fu installato in Sede scout un ampio armadio in cui trovarono posto divise scout e lupetto di ogni misura, distintivi d’ogni sorta, batterie da cucina, alpenstock, accette e ecc.
I buoni fruttavano l’interesse annuo del 5% che solo pochissimi ritirarono, e, annualmente, a seconda del guadagno (si acquistava alla KIM di Milano che ci lasciava un 10/15% di sconto) si rimborsavano i buoni sorteggiati.
Per la Pattuglia nazionale lavoravo per corrispondenza e per telefono con racconti per “Jau” e per Estote Parati, rispondendo a questionari che Catani inviava a scopo informativo e conoscitivo.
Fausto pubblicò in seguito una raccolta degli articoli più significativi suoi e di noi tutti in un magnifico libro intitolato “Piste”.
Di ritorno dalla Norvegia si fermò di nuovo a Pavia, mi portò un bel vaso ricordo, visitò un mio Caposestiglia ammalato, ci scambiammo tante idee e punti di vista che avremmo elaborato.
Con la Pattuglia regionale lavoravo per la preparazione del Campo regionale di San Giorgio che si sarebbe tenuto a Pavia proprio nel 1951.
Anche l’amico Sordi lavorava forte con la Branca Scout lombarda seguendo le gare delle squadriglie lombarde per la partecipazione al Jamboree che si sarebbe tenuto a Bad Ischi (in Austria) nel 1951 ed a cui partecipò anche una Squadriglia del Gruppo Pavia 1°.
In fondo anche il Campo Regionale di Pavia (detto dell’Aurora) era un piccolo Jamoboree perchè si ebbe la partecipazione di squadriglie svizzere, (scese in barca dal Canton Ticino), francesi, inglesi, del CNGEI e di altre città d’Italia.
Lunga sarebbe la descrizione di questo Campo che vide attendati oltre 2.000 scout ed accantonati oltre 400 lupetti per tre giorni, con tutte le attività svolte in gare di cucina, stile, costruzioni, da parte delle squadriglie per la selezione di partecipazione al Jamboree.
Purtroppo l’incaricato regionale scout Sordi era in servizio militare.
I Branchi presentavano quanto avevano preparato per l’occasione, dalle bande musicali, ai costumi, alle danze, per ritrovarsi la sera per racconti al chiar di luna, presso il Ticino, che erano compito mio personale, per non dire delle grandi cucine militari per sfamare tutti quei lupi che avevano veramente una...fame da lupo.
Vi furono sfilate in costumi medioevali dal Castello, giochi, canti e soprattutto il “Grande Cerchio” finale con la partecipazione di tutte le autorità, Vescovo, Prefetto, Sindaco, comandante militare (apri strade nel bosco coi bulldozer, mandò cisterne con acqua potabile, impianti telefonici, pronto soccorso), con la presenza di innumeri genitori e curiosi, con la consegna del Totem alla Squadriglia (di Mantova)
vincitrice delle gare tra le squadriglie presenti e le grandi danze lupettistiche e indiane, le grida, le scene.
A titolo documentario si può segnalare che ogni giorno veniva consegnata a ciascuna delle 300 squadriglie presenti una cassetta con viveri per l’intera giornata, per un gruppo di sei persone (offerte dalla signore di Pavia attraverso un Comitato presieduto da Donna Iris Flores, moglie del Prefetto) ed inoltre ogni giorno furono portati al campo 40 quintali di pane, 9 quintali di carne, 2 quintali di marmellata, 2000 litri di latte, ecc.
Non vi fu nessun incidente, il bosco fu rispettato in modo tale che il meravigliato sig. Negri, proprietario, che poi
10 donò al Comune, dette ai soli Scouts il permesso di occuparlo per le proprie attività e studio della natura.
L’impresa fu improba ma il buon risultato si ebbe per
11 grande senso di responsabilità e di collaborazione dei Capi Branco: il Branco del Lago si dimostrò come una potenza pratica, gioiosa e volonterosa, una esperienza che varrebbe la pena rinverdire e potenziare.
A ricordo del Campo, il mio amatissimo Baloo, Padre Giorgio Galli, incidendo del linoleum come fosse una xilografia, realizzò una cartolina rappresentante una tenda e l’insegna di San Giorgio che fu stampata a due colori.
Dopo questa sfacchinata, a titolo di riposo, il 27 di maggio, condussi in Branco in visita allo Zoo di Milano perchè vedessero da vicino com’era Baloo (l’orso), Bagheera (la pantera) Chil (l’avvoltoio.... a proposito un rover che mi fu dato come aiuto al Branco, quando si presentò disse ai lupetti che lui era “Chil, l’avvoltatoio”...), cioè gli animali della Giungla così spesso da noi nominati.
Per la Danza di Shere Khan avevo fatto confezionare da mia mamma la pelle della tigre così che la danza assumeva un carattere più veritiero, con Mowgli che se la cingeva dopo averla abbattuta.

 

Fine quinta puntata (marzo 2015) - continua
 

 

 

Vi abbiamo già parlato del collega Virginio Inzaghi, poeta dialettale, scrittore, fine umorista e storico di Pavia.

Il figlio Claudio ci ha inviato il volumetto SEMEL SCOUT SEMPER SCOUT )scritto con lo pseudonimo di Phao Del Lago), una storia dello scoutismo pavese, nel quale Virginio fu particolarmente attivo,
Virginio ci accompagnerà per molti mesi in quanto vi presentiamo a puntate sulle NEWS l'intero lavoro iniziando dalla pubblicazione del settembre 2013:

settembre 2013   -  prima puntata

marzo 2014       -  seconda puntata

giugno 2014      -  terza puntata

agosto 2014      -  quarta puntata

marzo 2015       -  quinta puntata

 

 

 

 

 

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Quelli che la Banca Commerciale Italiana.... - le News di marzo (1/2015)