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Racconto di Natale: “Te piace o’ presepe?”
Fuori
l’aria punge gli occhi e pizzica il naso. E’ bastato che tramontasse quel
pallido sole che cercava di addolcirci, perché un vento gelido si alzasse
dal nulla, pronto a ghermire la notte. “Quest’anno sarà un Natale come Dio
comanda!”, ho sentito dire dal pizzicagnolo dove stamattina ho ordinato tre
o quattro cosine buone per il mio “cenone”. E’ vero, la prima nevicata
dell’anno c’è già stata e il gran freddo l’ha inchiodata a terra, sui tetti
dei palazzi, nei corpi tremolanti di chi affronta i marciapiedi con passo
incerto.
In redazione ci siamo fatti gli auguri tagliando un panettone, marca Dulceat,
di provenienza rumena. L’ha portato Sangiorgi, il capo redattore, che da
quando si parla di crisi, debito pubblico alle stelle e deficit di bilancio,
si comporta come fosse già sul lastrico, ma lui è sempre stato una
formichina. La cicala, almeno quest’anno, ho voluto impersonarla io portando
una bottiglia di Champagne millesimato.
Non l’ho comprata, è un regalo ricevuto l’anno scorso, quando i Natali per
me avevano ancora un senso. Se i produttori francesi avessero previsto
l’abbinamento inglorioso subito oggi dalla loro creatura, probabilmente
avrebbero ritirato tutta la partita dal commercio. Almeno però ci siamo
fatti quattro risate, soprattutto quando Micheli, il cronista sportivo, dopo
aver addentato la reinterpretazione rumena di questo pezzo di gloria
nazionale, si è portato le mani alla gola e ha finto di svenire.
E’ il massimo della comicità che ci possiamo permettere al giornale, ma ci
lavoro da quasi quarant’anni e i colleghi sono persone vere che ho avuto al
mio fianco quando è servito; l’hanno saputo fare con spontaneità, senza
creare fastidiosi imbarazzi reciproci.
I Natali come Dio comanda, per me erano quelli che potevo trascorrere con
Tosca, l’unica donna con la quale avesse senso fare festa, parlare di
politica, andare al cinema dopo aver mangiato una pizza.
Arriva sempre, nella nostra vita, l’insospettabile “ultimo Natale”, quello
che cioè puoi ancora chiamare tale perché hai buone probabilità di
trascorrerlo con la persona che più ami. Ma sarà l’ultimo. Questo però
verrai a saperlo soltanto dopo che il tuo placido laghetto, quello
contornato da giardini rigogliosi dove avevi fissato le tue certezze, sarà
spazzato via da una enorme meteora in caduta libera. Niente più acqua,
alberi, vasi di gerani e pesci luccicanti, dopo il tonfo più niente, solo
desolazione vuota, assenza d’aria, lamiere contorte che feriscono appena le
sfiori.
Il signor Arturo, il pizzicagnolo, aveva già preparato il mio pacchetto e ci
tiene a dirmi che è tutta roba freschissima, preparata in giornata. Ci
credo, il profumo del suo negozio è più che una promessa, è il risultato di
una ricetta: 2/4 di amore, ¼ di tradizione e ¼ di onestà. Chissà se, a est
di Trieste, arriveranno a copiare anche questa formula segreta!
Col mio vassoietto ben incartato mi avvio verso i portici in fondo ai quali
c’è casa mia, un appartamento che di giorno in giorno diventa sempre più
spettrale e maleodorante.
Forse dovrei arieggiarlo di più nelle belle giornate, ma chi se ne frega, in
fondo mi sento anch’io così e non ho l’energia per cambiarmi nel profondo,
non più.
Una voce mi distoglie, è di un uomo che canta un motivetto che dice: “…e po’
viene Natale, nun tengo denare, m’accatto o’ giurnale e me vado a cuccà…”.
Quante volte mi era capitato di sentirlo o canticchiarlo, ma non avevo mai
afferrato la sintesi di quel concetto: è meglio lasciare tutte le amarezze
al di là di una linea difensiva che non dovrà cadere perché è l’ultima
possibile. Non c’è disperazione in quel programma ridotto, c’è invece la
consapevolezza che un giornale e un letto caldo, quando non si ha più nulla,
possono diventare tutto. L’uomo che canta è adagiato sopra coperte
affastellate su dei cartoni, gli fa compagnia un cane dagli occhi
comprensivi. Non c’è sguaiataggine etilica in quello sfogo, ma la ricerca
della migliore intonazione, di una perfezione stilistica che sembra
sproporzionata rispetto alla semplicità delle note. Allora mi fermo e gli
faccio:
-“Bella voce! Dove ha imparato a cantare così?”
-“Eh, signore mio, quindici anni nel coro del San Carlo di Napoli, lasciano
il segno!”
-“E poi che è successo?”
-“Taglio dei fondi… una moglie zoccola… la vita può girarti la schiena da un
giorno all’altro!”.
Ripenso a Tosca e un ricordo fulmineo e doloroso mi straccia la mente: le
nostre serate di vigilia, dopo cena, ci piaceva trascorrerle guardando una
registrazione televisiva di “Natale in casa Cupiello”. Al termine mi
divertiva rivolgere a Tosca la domanda di rito: “Te piace o’ presepe?”, con
la voce sgranata e tremula che Eduardo De Filippo utilizzava per rivolgersi
al figlio fannullone. Tosca mi rispondeva: “No!”, come da copione, poi io le
davo un bacio. La mattina di Natale era lei a riprendere la recita
incitandomi ad alzarmi dal letto dicendo: “Sosate, song ‘i nove!” con la
voce di Pupella Maggio, e io: “Se non mi portate la zuppalatte nel letto, io
non mi soso!”.
Poi si andava a messa e quindi al ristorante, almeno gli ultimi anni, dopo
che nostro figlio Luca si trasferì all’estero per lavoro. Non ci andava più
di trafficare in cucina, invitare parenti, meglio sedersi a un tavolo e
trovare tutto pronto, anche a costo di criticare poi la cucina del
ristorante rispetto a quella di casa nostra.
-“Vi sentite bene? Vi ha dato fastidio quello che vi ho detto?”, mi chiede
l’uomo sui cartoni. Evidentemente devo essermi estraniato qualche secondo di
troppo.
-“No… stavo pensando… le andrebbe di farmi compagnia stasera, ovviamente col
suo cane… ho delle cose buone appena comprate, mettiamo su una pasta e
festeggiamo la vigilia. Se le va mi farebbe piacere, senza complimenti…”
-“Voi siete troppo gentile, non sono abituato a queste cortesie, io sono
diventato un inguardabile”. Così dicendo si alza in piedi e prosegue: “Solo
Clara, la mia cagnetta, mi guarda ancora…, ma se accetto dovete permettermi
di portare il vino!”. L’uomo allora estrae dalle coperte una bottiglia senza
etichetta che dovrebbe essere piena di un nettare, a detta sua, che io non
posso neanche immaginarmi:
-“Viene dalla tenuta dei Conti Baldi… è roba che in giro non si trova,
credetemi. Quando l’assaggerete rimarrete incantato!”
-“Non darmi del voi, siamo amici, no?”
-“Come volete, ma l’amicizia è anche rispetto e io non posso…”
-“Dai, non siamo a teatro. Sembra di leggere il libretto di un’opera
lirica…a proposito,sai che io sono un giornalista e mi occupo della pagina
di cultura e spettacoli?”
-“Niente meno! Ma allora conoscerete…conoscerai i grandi artisti, quelli
famosi…”
-“Sì, ne ho intervistati molti”
-“E come sono dal vivo?”
-“Per me sono quasi tutti degli errori prospettici”
-“Oh Gesù, e che volete dire?”, mi chiede ritornando al voi.
-“Voglio dire che più ti avvicini a loro e più ti appaiono piccoli”
-“Ah, capisco, fingono di essere stivali ma sono solo ciabatte!”
-“Qualcosa del genere, ma non stiamo qua a prendere altro freddo. Io abito
laggiù in fondo, prendi le tue cose che andiamo…”
-“Non posso lasciare sguarnito il mio appartamento, qualcuno potrebbe
fregarmelo! Le coperte posso lasciarle qua, tanto nessuno le tocca perché
fanno schifo. Andiamo pure”.
Adesso che lo osservo meglio, l’uomo mi sembra in ordine, non puzza ed è
sbarbato e pettinato. Intuendo i miei pensieri lui ci tiene a farmi sapere:
-“Sono stato stamattina al centro di accoglienza. Mi sono potuto lavare e mi
hanno dato abiti puliti…non ti porto le pulci in casa, stai tranquillo. Non
posso garantire per Clara, ma semmai lei resta fuori”. Ora deve sentirsi
accettato ed è sperabile che si sia persuaso a darmi del tu. Anche il tono
di voce ha preso consapevolezza e il suo atteggiarsi ricorda la compostezza
di un nobile decaduto.
-“Non temo contagi, anche Clara deve entrare a fare festa. Sono contento di
averti conosciuto…tu sei di Napoli, vero?”
-“Di Portici a dire il vero, ma siamo lì”.
E così ci incamminiamo verso casa, seguiti da Clara che sembra dispensi
sguardi radiosi. Forse ha capito che l’attendono una casa calda e un pasto
sfizioso.
Grazie al mio ospite e al suo accento teatrale che assume via via
intonazioni più convinte, è probabile che la serata di stasera prenderà i
toni di una versione rivisitata di “Natale in casa Cupiello”, ma ancora nel
pieno rispetto della tradizione. Deve essere stata Tosca, dal cielo, a
mandarmi questo regalo.
Enrico Ferrero (Biella)
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Amici Comit News - Natale 2013