Per il NATALE 2013 propongo uno stralcio, nostalgicamente romantico, del libro di Gaetano Afeltra, grande giornalista del “Corriere della sera”: “Milano amore mio” (Rizzoli, 2000) che anticipa di pochi anni le medesime sensazioni che provai io arrivando in questa città nel 1935 (Afeltra vi era giunto due anni prima a 18 anni, io a 10):


“Questa è la cronaca, la testimonianza ( e la storia) di un Natale a Milano, vissuto da un giovanotto arrivato da poco dal Sud. Già parecchio tempo prima le vetrine si addobbavano per la grande festa cristiana ma Milano non conosceva ancora le luminarie sfarzose, le parate e il lusso natalizio di Stoccolma, di Londra, di New York. Era solo una grossa città lombarda. Si vedevano lunghe file fuori dagli uffici postali per la spedizione dei panettoni a parenti e ad amici. Le buche delle lettere cominciavano a riempirsi di biglietti di auguri. (……….) La vigilia di Natale strade e negozi traboccavano di gente. Più che un acquisto sembrava un saccheggio: giocattoli, profumi, borse, libri, foulard, cravatte, tutto andava bene. Ogni mercanzia, anche la più modesta, diventava nelle mani abili e vertiginose delle commesse un pacco-regalo favoloso. Per me, abituato a vedere come doni natalizi torroncini, “sosamelle”, zeppole e fichi di cioccolato, quei pacchi luccicanti, guarniti di nastri, fiocchi e sempreverdi, sembravano una meraviglia. Poi c’era l’altro assalto per le compere destinate al grande pranzo. Arrivavano a Milano da ogni parte d’Italia montagne di leccornie, frutta, verdura, cataste di pesci e, per la cena della vigilia, tinozze di capitoni. I tacchini, così cari alla vecchia tradizione ambrosiana, si contavano a migliaia. Ovunque, poi, sua maestà ‘il panettone’, senza il quale era come se il Bambino Gesù non fosse nato. Per Milano il panettone è la stella di Betlemme. (……………) Fra le usanze natalizie di quegli anni, spiccava un’azione benefica: il Monte di Pietà informava che i signori Mario, Aldo e Vittorio Crespi “… ampliando generosamente il consueto munifico gesto” elargivano “la cospicua somma di centocinquantamila lire da erogarsi nel gratuito riscatto di pegni costituiti da indumenti e coperte”. Anche altre due usanze sono svanite: una soppressa, l’altra spostata. La sera della vigilia iniziava la grande stagione del varietà, mentre a Santo Stefano avveniva l’apertura della Scala. Quell’anno, la sera del 24 dicembre, al Mediolanum debuttò la compagnia Macario-Osiris con ‘Follie d’America’. Ci andai anch’io con Cesare Zavattini che aveva preso due semplici ingressi. La sala era strapiena. Per la prima volta vedevo uno spettacolo del genere. Macario giocava maliziosamente con sottintesi spesso audaci, senza mai passare il segno; Wanda Osiris, con le sue apparizioni sfarzose, passava, in una successione di quadri, da New York a Hollyvood e da un aeroporto a una prateria. Quella sera stessa alla Scala c’era la prova generale del Macbeth di Verdi diretto da Gino Marinuzzi, interpreti: Gina Cigna, Francesco Battaglia, Tancredi Pasero. Per la “prima” i prezzi erano più alti del solito: poltrone duecento lire, poltroncine centocinquanta, distinti novanta, i palchi di prima e seconda fila esauriti in abbonamento, quelli di terza cinquecento lire e di quarta quattrocento. Dopo la messa di mezzanotte, un cielo stellato con una fettina di luna prometteva una giornata di gelo ma limpida. Infatti, il giorno di Natale fece bel tempo. Il termometro però arrivò a segnare fino a dodici sotto zero. Le strade erano coperte da lastroni di ghiaccio. In duomo il cardinale Schuster celebrava il pontificale, nelle altre chiese si celebrarono messe lette o cantate. Dopo l’una la breve animazione delle vie andò man mano spegnendosi.Si rianimò solo nelle prime ore del pomeriggio per gli spettacoli di teatro e di cinema. Al Nuovo i De Filippo davano ‘Natale in casa Cupiello’. Calata la sera, la città appariva deserta. Solo anni dopo la rividi così, nelle notti dei bombardamenti di agosto. Se il famoso diavolo zoppo della leggenda avesse sorvolato Milano fra le otto e la mezzanotte della sera di Natale avrebbe visto una città spettrale, senza anima viva. Ma se avesse scoperchiato le case, avrebbe visto tutti a tavola in letizia domestica. Invitati da amici o da semplici conoscenti anche i senza famiglia e i solitari quella sera provavano il piacere della compagnia”.

Natale 2013 - a cura di Lorenzo Milanesi (Milano)
 

 

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