Domani sarà davvero Natale
di Enrico Ferrero (Biella)

Eccomi qua. Faccia a terra e mani dietro la nuca a fissare una piastrella sbeccata e di poco sollevata rispetto alle altre. Sembra galleggiare sulla superficie grigiastra di un mare invernale graffiato da migliaia di sfregi, rigato da innumerevoli passi che nel tempo hanno disegnato la più bizzarra delle trame.
Se non avessi paura, potrei anche godermi la vista di uno spettacolo che, dall’alto, non avrei mai potuto percepire. Dalla mia prospettiva, tutto mi appare diverso, minaccioso. E’ come se mi trovassi a un centimetro dalle immagini affrescate sulla volta della Cappella Sistina, concepite per essere viste da terra e perciò volutamente deformi a breve distanza.
Ma il pavimento che si allarga di fronte ai miei occhi è una visione che mi aiuta a mantenere la calma, anche se non capisco perché. Ho la sensazione che da un momento all’altro tutto possa esplodere o al contrario rientrare in quella normalità che fino a pochi minuti prima mi opprimeva. Mi accorgo di pensare al vaso di cristallo che avrei voluto regalare a mia madre: chissà se si è rotto quando mi è caduto a terra il pacchetto?
Uno dei due tizi armati mi aveva appena dato uno spintone urlandomi di sdraiarmi. Per sembrare più convincente, mi ha puntato la canna della pistola sul collo facendomi sentire il freddo del metallo. In quel momento ho realizzato di essere in pericolo.
Mi è parso pure di avvertire l’odore acre della polvere da sparo e da questo dettaglio ho dedotto che non potesse trattarsi di un’arma giocattolo: da qualche parte doveva avere già sparato e mi spaventa pensare che potrebbe accadere anche nei prossimi secondi.
I suoni distorti che sento vagare nell’aria, prendono ora la concretezza di urla che l’altro rapinatore continua a rivolgerci: «Fate come vi diciamo e nessuno si farà male!». Non so quante volte, al cinema, ho sentito pronunciare questa frase, ma adesso mi mette i brividi. Se la signora accanto a me non tremasse e il ragazzo poco più in là non si stesse bagnando i pantaloni, potrebbe sembrare davvero un set cinematografico dove sarei disposto a ripetere la scena all’infinito.
Non avrei dovuto entrare in banca, non ne avevo alcun bisogno. Passando davanti alle vetrine, ho solo pensato che non mi restava altra occasione per augurare buone feste ai miei ex colleghi, ecco perché sono entrato. Un minuto dopo respiravo già la polvere sparsa sul pavimento. Come possono cambiare in fretta le situazioni, dissolversi le fragili certezze.
Mentre i rapinatori arraffano pochi biglietti dal cassetto del cassiere, la loro voce si alza di volume e va a interferire coi pensieri che mi sforzo di rendere tranquillizzanti.
Cerco di ingannarmi concentrandomi su aspetti del tutto estranei alla realtà, come osservare con estrema attenzione la carta natalizia che avvolge il regalo per mia madre. Ora sogno di calarmi nel disegno di un paesaggio innevato percorso da slitte trainate da renne volanti. Accanto a quella foresta di pini, scorgo una casetta bianca dal tetto rosso. Dalle sue quattro finestre mi pare filtri una luce gialla che si riverbera sulla neve. Immagino siano i bagliori della fiamma che brucia nel caminetto, anzi, ne sono sicuro: dal comignolo esce un filo di fumo bianco. Tutt’attorno, la notte disegna un cielo trafitto da centinaia di stelle e io vorrei trovarmi in quella casetta ai margini del bosco. Mi sembra di percepire il calore del fuoco prodotto dai ceppi messi a seccare dall’anno precedente e tenuti da parte proprio per questa vigilia di festa. Tra quelle pareti virtuali, mi vedo intento a scegliere gli addobbi migliori per l’albero e a fissare sulle porte ghirlande di agrifoglio. Ora che stufa e caminetto staranno producendo un calore intriso di profumi di resina, mi sorprendo a immaginare che, proprio su quel fuoco, mia madre non tarderà a cucinare le sue specialità più gustose.
La vedo, giovane e bella, spostarsi agilmente da un angolo all’altro di quella cucina immaginaria. Ha voglia di cantare, deve essere allegra. Il suo stato d’animo mi trasmette un buonumore che, se torno a vedermi calato nella situazione assurda in cui mi trovo, non posso che definire inconcepibile.
Il magro bottino sta mandando in bestia i due tizi armati. Soltanto ora noto le loro inquietanti maschere da Babbo Natale e lo stridente contrasto tra l’espressione paciosa del personaggio e le parole urlate che sta pronunciando il tale che mi aveva minacciato con la pistola. Ci sta dicendo di tirare fuori i portafogli e di lanciarli verso di lui.
Dopo averli svuotati con cura, passa in rassegna ogni ostaggio per strappargli qualsiasi oggetto che abbia una parvenza preziosa. Per risultare più credibile e piegare così ogni possibile resistenza, esplode un colpo di rivoltella verso il soffitto. Il boato è di quelli che gelano il sangue, mentre i pezzi di intonaco che cadendo ci sfiorano, chiariscono molto bene la precarietà delle nostre vite, l’inesistenza di ogni margine di trattativa. Si tenga pure il mio orologio, è una patacca che imita un modello prestigioso. Io non porto anelli e catenine, ma anche se li avessi non farei nulla per nasconderli, ora il mio unico desiderio è che tutto finisca al più presto.
L’atmosfera del Natale stava ossessionandomi di incombenze in fondo evitabili. Lo stesso vaso di cristallo - non so ancora se si è rotto in mille pezzi -, l’ho comprato con un senso di frustrazione, senza un briciolo di gioia, come se dovessi portare a termine un penoso dovere. Se mi vedo proiettato fuori di qui, sono certo che ora vorrei occuparmi di ogni preparativo e le idee mi uscirebbero talmente numerose da crearmi imbarazzi di scelta, senza contare che mi farebbe un piacere immenso dedicarmi a queste mansioni. Anzi, dalla mia attuale posizione, non capisco proprio come abbia potuto vederle spesso con fastidio.
A ben vedere, è una sciocchezza pensare a tutto questo quando, in realtà, dovrei preoccuparmi unicamente di portare a casa la pelle. Raggiunto questo risultato, trovo che sarebbe uno splendido Natale anche senza doni da scartare e pranzi troppo ricchi per risultare sopportabili.
Mi accontenterei di sbocconcellare un semplice toast al bar della stazione e magari deciderei di prendere il caffè nella prima stazione di servizio lungo l’autostrada.
Ma tutto ciò mi piacerebbe farlo in compagnia di mia madre, chissà se si lascerebbe convincere? Di certo ora starà preparando il ripieno per gli agnolotti, per lei non è Natale senza certi punti fermi. Povera donna. A parte me e gli anni che le piegano la schiena, le sono rimaste ben poche certezze. Se fosse qui ad ascoltarmi, vorrei però dirle:
«Mamma, non stare lì a tribolare. Ti porto a fare festa da qualche parte, dove capita, non ha importanza. Conta solo essere ancora assieme. E poi vuoi mettere? Non dovremo lavare i piatti! Ti avevo preso un regalino, ma forse è inutilizzabile. Facciamo così: te ne prenderò un altro, ma tu non aprire questo pacchetto, conservalo così com’è. Tutte le volte che mi sentirò a pezzi e vorrò vedermi avvolto, tenuto assieme da qualcosa che era sempre rimasto lì ma mi ero scordato esistesse, ti chiederò di mostrarmelo. Ecco, sì, quando dovessi smarrire questa certezza, verrò a chiederti di farmi tenere tra le mani questo cartoccio. Credo che allora mi piacerà agitarlo per sentire, nel tintinnio di vetri rotti custoditi al suo interno, l’eco di quello che ero e che non sarò mai più»
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Enrico Ferrero (Biella)

 

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Amici Comit News - Natale 2014