La forchetta e il Natale
di Maurizio D'Angelo (Camerano)

Quale filo può legare la forchetta alle feste natalizie ? In particolar modo che significato ha  per un napoletano ?
Partiamo dalle origini: è ben noto che l'elemento che contraddistingue l'essere umano dalle restanti specie animali è la capacità di creare strumenti, attrezzi ecc. che, specialmente nella lunghissima fase iniziale, servivano ad integrare le modeste capacità fisiche di cui era ed è dotato l'uomo.
Ed è quindi ben curioso che – proprio in un settore essenziale qual'è l'alimentazione -  gli strumenti più direttamente collegati al cibo non siano stati fra i primi. Ovviamente, escluderemo dal novero quelli studiati per la cattura e l'uccisione di animali più veloci, più forti, più sensibili per vista, udito, olfatto, gliu strumenti ai quali ci riferiamo sono quelli che oggi chiamiano posate.
Anche qui è necessaria una precisazione: si può ragionevolmente pensare che sin dagli albori delle varie civiltà siano stati creati strumenti per la macellazione e per  la divisione in porzioni  delle carni ma erano attrezzi riservati a quelli che formavano, per dirla modernamente, il “personale di cucina”. I commensali, sempre per esprimerci con terminologie dell'oggi, non disponevano di strumenti personali, l'uso della dita era l'assoluta normalità, come del resto, per lunghissimi periodi un piatto comune centrale è stato l'unico “ornamento” della mensa.
Se, certamente, coltello e cucchiaio furono le prime posate,  stupisce però apprendere che la forchetta  sia apparsa sulla scena con grande ritardo: infatti, la prima testimonianza storica di questo strumento si ha in quel di Venezia nell'anno 1003, anno nel quale la principessa bizantina Maria Argyropoulaina, figlia dell'Imperatore di Bisanzio, va in sposa a Giovann Orseolo, figlio del Doge Pietro II. A Venezia, pertanto, va riconosciuto il primato per l'introduzione in Italia della forchetta.
Mò, facciamo un piccolo sforzo di immaginazione, pranzo di gala, la crema della aristocratica Serenissima Repubblica è presente in pompa magna e, di fronte a tanta altissima ufficialità, ecco che la principessa, già abbondantemente scrutata e giudicata da arcigne nobildonne e seriosi nobiluomini, tira fuori uno stranissimo attrezzo d'oro, d'oro il manico e d'oro il terminale formato da due acuminate punte e, maneggiando disinvoltamente questo affare la Maria Argyropulaina “appizza” i bocconi di carne tenendo quindi le dita ben lontane da un contatto diretto con il cibo.... ma non crediate che la cosa destasse apprezzamento... tutt'altro...lo scandalo fu enorme...il che sconcertò non poco la nostra principessa che, a Bisanzio, aveva usato la forchetta sin da bambina, almeno così ricordava...mah, paese che vai usanze che trovi.
Ma, purtroppo per lei, lo scandalo e la riprovazione per l'orrendo strumento non si fermarono a quel banchetto, dilagò per la città sino ad interessare l'autorità ecclesiastica che, forte di autorevoli pareri, non esitò a bollare la forchetta come strumento demoniaco (almeno sappiamo che San Pier Damiani si espresse in questi termini, qualche decennio dopo tale evento....pensate un po' quanto abbia tormentato gli animi il fattaccio della forchetta, che se ne parlava ancora ad oltre 20 anni di distanza ). Già, ma nel frattempo, la principessa ? L'abbiamo lasciata lei e la sua forchetta d'oro lì al banchetto di nozze... ma sulla poveretta si abbattè l'anatema del clero cittadino che invocò la collera divina su di lei quale giusta punizione per tanto sibaritico lusso...Guarda caso, due o tre anni dopo una pestilenza si portò via la povera ragazza e la cosa fu considerata l'evidente riprova che in “altissimo loco” la forchetta era fieramente disapprovata.
Dovranno passare non meno di cinquecento anni prima che la Chiesa torni sui propri passi riconsiderando l'ostracismo verso la forchetta. Tuttavia, pur gravata di tale peso - e in quei tempi la disapprovazione della Chiesa non era affatto da sottovalutare – la forchetta pianin pianino si diffuse nel Bel Paese o meglio, sarebbe più giusto dire che riprese a diffondersi... già,  perchè facciamo un piccolo passo indietro, la forchetta aveva fatto la sua comparsa come strumento personale dei commensali già nel tardo Impero Romano, ovviamente nelle cene dell'altissima aristocrazia, ma questa timida apparizione non avrà tempo per diffondersi, le invasioni barbariche spazzano via insieme ad altre raffinatezze anche la forchetta...sappiamo però che nel sopravvissuto Impero Romano d'Oriente l'uso rimase e si consolidò diffondendosi nei ceti più elevati.
Al riguardo, per questo come altri temi, dobbiamo far riferimento alle classi di vertice, le uniche in grado di lasciar tracce documentali del proprio vivere. Le classi più modeste ed umili non potevano far altro che “campare di nascosto del Padreterno” , lasciando di sé, del proprio esistere ectoplasmi di tracce e, sicuramente, in questo settore, l'uso delle dita sarà stato le regola senza eccezioni.
Sembrerà strano, visto il pensiero ecclesiastico in materia, ma probabilmente proprio le pestilenze favorirono il ricorso ad attrezzi che evitavano di toccare con le mani cibi messi in comune: come che sia, l'Italia attraverso le numerose corti principesce, ma anche grazie ai suoi mercanti, fece da battistrada in Europa e già nel XIII secolo Edoardo I d'Inghilterra possedeva forchette, come da regale inventario.
Si trattava però pur sempre di stentata diffusione: nella seconda metà del Cinquecento, nel famoso dipinto di Paolo Veronese “Le nozze di Cana” guardando verso sinistra, quasi nell'angolo, si potrà notare un commensale munito di forchetta (unico !) che ne mostra l'uso all'ospite alla sua destra mentre alla sua sinistra una dama osserva incuriosita la scena. 
E, ancora in pieno '600, la riprovazione della Chiesa era ancora tanto sentita che il comositore Monteverdi quando, per esigenze di etichetta, era costretto ad usare le forchetta in pranzi ufficiali, non mancava dopo di far celebrare tre messe in espiazione del peccato commesso....
Di pari passo, mutando costumi ed usanze, le mense pain pianino passarono dalle autentiche piazze d'armi medievali, grandi ambienti nei quali si consumavano pasti preparati su grandi camini, a salette più ristrette e più ristrette comitive. Questo facilitò l'abbandono della posata personale che il commensale portava con sé e, per converso, i padroni di casa cominciarono a manifestare il proprio status sociale anche attraverso ricche dotazioni di preziose posate,  per sé e familiari nonché per gli ospiti, ormai in numero più contenuto rispetto al passato.
Come abbiamo visto, la forchetta degli inizi, quella della nostra principessa bizantina dalla triste fine, era a due punte ovvero rebbi...nel corso dei secoli passò a tre rebbi e tale la troviamo nelle tre principali manifatture europee, la veneziana primogenita, cui seguirono la napoletana e l'inglese.
Ma fu proprio a Napoli che si ebbe l'ultimo perfezionamento, quello che ancor oggi usiamo, i quattro rebbi.: siamo nella seconda metà del '700 e sul trono napoletano siede Ferdinando IV noto come (ingiustamente, in fondo) come Re Lazzarone nonché (più giustamente) Re Nasone.
Questo sovrano aveva la fissa delle – diremmo oggi – promozioni dei prodotti locali e, quando alimentari, servendoli nei pranzi di gala offerti ad ambasciatori quando non a Sovrani in visita.
Uno di questi prodotti alimentari era la pasta che, come ne fan fede numerose stampe (e successivamente i primi dagherrotipi) si mangiava abitualmente con le mani, tanto che si trattasse di spaghetti (chi non ricorda la scena in Miseria e Nobiltà dei poveracci che si fiondano sulla zuppiera ?) che di maccheroni (i “paccheri”, per intenderci... quanti spernacchiamenti mi son sorbito per colpa di mia mamma buonanima che, aborrendo il dialetto, li chiamava “schiaffoni” e io, bambino credevo fosse quello il nome giusto, bene chiudo la digressione). Ma, a Corte, oltretutto essendo Regina una tal Maria Carolina, figlia dell'Imperatrice asburgica Maria Teresa e sorella della povera Maria Antonietta, era del tutto impensabile una scena del genere.
Venne quindi incaricato il Ciambellano addetto al protocollo dei regali pranzi di trovare una soluzione accettabile del problema. Costrui, tal Gennaro Spadaccini, si applicò diligentemente al tema e, partendo dalla forchetta a tre rebbi, ne ridusse le dimensioni, smussò le punte acuminate eliminò l'affilatura dei rebbi, caratteristiche che la rendevano un pericoloso strumento (si consideri che la funzione principale della forchetta, fin lì, era  correlata “all'appizzamento” e ulteriore eventuale sminuzzatura del boccone di carne), ma soprattutto, colpo di genio, portò i rebbi a quattro, accorgimento che facilitò enormemente l'avvolgimento dello spaghetto, almeno a noi Italiani (lo straniero, spesso tende ad aiutarsi col cucchiaio,  i più volenterosi, per la verità)  ma anche una miglior presa delle paste in generale.
Ecco quindi, per tornare un attimo alla domanda di partenza, il fil rouge che lega la forchetta, Napoli e il Natale, anzi la Vigilia, quando – almeno per noi napoletani è d'obbligo nel cenone di magro (mi raccomando, magro, eh...) un bel piatto di spaghetti a vongole. E qui altra breve digressione, la famosa “vongola verace” è ormai – quantomeno qui sull'Adriatico – scomparsa essendo stata soppiantata dalla orientale “scafarca” che introdottasi furtivamente al seguito di qualche nave ha piuttosto rapidamente sottratto alla nostra vongola locale nutrimento e territorio.
E' preferibile, pertanto, usare quella vongoletta conosciuta a Napoli come “lupino”, essendo saporito e quindi decisamente migliore della sciapa scafarca.

Maurizio D'Angelo (Camerano - Ancona)

 

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