IL PIU’ BEL REGALO DI NATALE
(si può dire ancora “cervello di gallina”?)
di Lorenzo Milanesi (Milano)

La scena si svolge agli albori degli anni 30 del secolo scorso in un paesino con un migliaio di anime alle falde dell’Aspromonte, collocato a poco meno di 300 metri di altitudine, nel versante che guarda verso il mar tirreno.
A quell’epoca ogni famiglia aveva il suo pollaio e quella di Rosalia non sfuggiva alla regola. Le carni di manzo o di vitello erano rarità, confinate nelle feste importanti e dunque i polli, insieme alle uova, ne fornivano in abbondanza. Discorso a parte riguarda il maiale. Molte famiglie ne ingrassavano uno e lo macellavano in occasione del Natale o a Carnevale. Capretti e agnellini venivano sacrificati soltanto nelle festività pasquali.
Rosalia, degna figlia di sua madre Teresa, che visse gli ultimi anni consumando ogni giorno un uovo fresco di gallina e nient’altro che una tazza di latte di capra appena munto, raggiungendo cosi’ - in letizia - i 96 anni, “coltivava” il suo pollaio con consumata esperienza e amorevole attaccamento.
A parte il libero razzolare per i campi, ella non faceva mai mancare alle galline l’ambita porzione di granoturco del quale, come tutti sanno, esse sono ghiottissime e rappresenta l’ingrediente essenziale per ottenere delle uova di qualità.
Era orgogliosa della sua quindicina di galline, tenute a bada da un gallo di proporzioni e fattezze talmente inusitate da sembrare un cavaliere “bonzai” del settecento col cimiero, tanto abbondante aveva la cresta rosso vivo che si curvava ora di qua ora di là del capo ridondante di piume che seguivano l’ondeggiare del petto straripante.
Quando poi, specie al mattino, cominciava il turno del canto, in sintonia con altri del vicinato, sembrava di ascoltare un’orchestra formata dai medesimi strumenti, qualcuno con tonalità più alte, qualcun altro più basse, ma tutti sostanzialmente uniformi nelle quattro note. E chi, dei vicini di casa, era andato a letto presto, come accadeva di frequente nei paesi, non resisteva alle sonore sollecitazioni, doveva alzarsi rassegnato e imprecando. Nessuno però osava lamentarsi, tanto elevato era l’ascendente di cui godeva in paese Rosalia.
Verso fine giornata, quando d’abitudine c’era la distribuzione del granoturco, bastava che Rosalia battesse con un bastone sulla porta di un vecchio casolare accostato alla sua abitazione, perché tutte le galline accorressero al pasto prelibato, scortate dalla mole imponente del gallo, il quale non disdegnava – come del resto fanno tutti i suoi omologhi – di rinunciare a qualche granello in favore delle sue pollastrelle. Rinuncia peraltro, come si sa, tutt’altro che disinteressata.
Rosalia aveva contratto l’abitudine di chiamare le galline per nome, sulla base di chissà quale criterio di attribuzione, illudendosi che quelle accorressero ai richiami con metodi diversi che non fossero accompagnati dal granoturco. Ma lei era contenta così e forse l’artificio le serviva per controllarne il numero prima che esse, a sera, battessero in ritirata nel pollaio.
Una sera, difatti, vi rimase male, anzi malissimo, quando, contandole, come d’abitudine, riscontrò l’assenza di una, fra quelle più ‘ovaiole’, che chiamava “spennata” per via del lungo collo privo delle piume che contraddistingueva la discendenza da una specifica razza definita in quel modo.
Agitata, ne parlò subito con suo marito il quale, ottimista di natura, sentenziò – diversamente dal lei – che la gallina poteva avere smarrito la strada del rientro, magari a motivo di qualche fortuito incontro con qualche cane ringhioso, com’era qualcuno nei dintorni, a seguito del quale poteva aver trovato rifugio provvisorio presso qualche pollaio ospitale.. E aggiunse che prima o poi sarebbe rientrata. Insomma, scartava la malevola ipotesi della moglie che la gallina fosse sparita per mano di qualche vicina invidiosa forse della prolificità, messa in risalto dai sonori e costanti coccodè quasi giornalieri .
La disputa, comunque, non fu risolta e ognuno dei due si tenne la propria opinione. Ma della gallina si persero momentaneamente le tracce.
Rosalia, comunque, mostrava palesemente di non digerìre l’accaduto e, determinata a venirne a capo, mobilitò le amicizie più fidate perché stessero con occhi e orecchi aperti e attenti sia alle piume eventualmente presenti nella discarica delle immondizie, per il caso che la gallina avesse finito i suoi giorni in qualche accogliente pentola, sia ai ‘coccodè’, sui quali indirizzare la sorveglianza, per il caso che fosse ‘ospitata’ in qualche pollaio compiacente e dunque complice della scomparsa.
Tuttavia nessuna notizia trapelò che potesse dare alimento alle congetture di Rosalia e neppure al tenace ottimismo di suo marito.
Passò perciò del tempo e della gallina tutti ormai si stavano dimenticando, tranne Rosalia che non riusciva, come si dice comunemente, a mandar giù il rospo, in sostanza a rassegnarsi alla perdita.
Un bel giorno accadde quello che nessuno, pure fornito di fervida fantasia, avrebbe mai potuto immaginare.
Attiguo alla casa di Rosalia v’era, come già detto, un casotto diroccato, chiuso da una porta, vecchia come il cucco che, in basso sulla destra, vicino a terra, era bucata da un foro di una trentina di centimetri quadrati, destinato, quando la casa era abitata, al passaggio della gatta la quale, a quel tempo, aveva il preciso e importante compito di acchiappare i topi. Compito al quale accudiva peraltro con puntigliosa, vorace e magistrale perizia.
Quando questa casa divenne disabitata e, pian piano, si diroccò, la porta rimase con il suo buco in bella evidenza e il traffico coi gatti cessò.
Ebbene, il pomeriggio della vigilia di Natale, mentre davanti alla chiesa di Santa Maria si stava accendendo il monumentale falò che sarebbe stato alimentato fino al giorno dell’Epifania, spandendo tutt’intorno calore ed allegria, quando Rosalia stava ultimando la preparazione delle crespelle per la sua “tribù” e, nonostante la stagione, grondava sudore per l’impegno profuso davanti ai fornelli, da quel famoso buco comparve improvvisamente la “spennata”, seguita da undici pulcini allegri e pigolanti, che si incamminarono senza esitazione verso il consueto pollaio fra l’incontenibile meraviglia , in primis di Rosalia, rimasta sorpresa e incredula per qualche istante, e quindi dei vicini che assistevano ora, richiamati dalle esclamazioni di stupore , anch’essi sbigottiti di fronte all’incedere sicuro e quasi impettito della gallina col nugolo di pulcini, diretti sì al pollaio ma anche al becchime.
Quello che era successo ha un che di inspiegabile, per non dire di misterioso e fu scoperto quando la porta del casotto fu forzata. La gallina vi s’era introdotta attraverso il buco famoso.
Dentro s’era scelto un giaciglio (in gergo chiamato “nedàle”) e, nel più assoluto silenzio, aveva accumulato, giorno dopo giorno, le uova per covarle.
S’è scoperto poi che le uova erano state più numerose degli undici pulcini, evidentemente perché quelle in sovrappiù non erano state inseminate. Resta ancora una domanda irrisolta: come ha fatto, senza che nessuno l’abbia sentita, a far inseminare le uova dal gallo?.
Allo stupore generale (tutto il paese ne parlò per intere giornate e ci fu anche chi sospettò che quanto accaduto fosse stato artificiosamente manipolato) e all’incontenibile contentezza di Rosalia, appagata ora dall’inaspettato regalo natalizio dei numerosi pulcini, si aggiunse la
conferma che l’inossidabile ottimismo del marito fosse largamente premiante sulle pur legittime congetture della moglie e di quanti avevano pronosticato la definitiva scomparsa della “spennata”
Ma il mistero rimase e con esso il dubbio se si possa ancora parlare di “cervello di gallina”.

Dicembre 2014 Lorenzo Milanesi
 

 

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