Biblioteca dei Miei Ragazzi: SIM RAGAZZO ABISSINO - dallo spazio Facebook di Enzo Barone   
 

Elaborare la sintesi di questo libro di Gino Chelazzi (n. 27 della Collana, ritirato poi nel 1945 e sostituito da “I giganti di Roccaforte” della Duché) non è stato compito facile. La vicenda, di per sé, è abbastanza improbabile e la trama sembra più corrispondere a un genere descrittivo che potesse accrescere nei lettori del tempo la confidenza verso luoghi, storie e caratteristiche di uno stato straniero, quale l’Abissinia, al quale il regime fascista era particolarmente interessato. Le avventure sono poco plausibili, mentre risulta  intatto ancora oggi  l’affresco che di quelle zone apparentemente selvagge riesce a stendere l’autore. Se si tien conto che non è probabile che lo scrittore sia mai stato in Etiopia (sappiamo da Anna Levi che “per le lunghe e accurate descrizioni storiche e geografiche dei suoi romanzi, Chelazzi si documentava alla Biblioteca Marucelliana di cui era assiduo frequentatore” - Storia della Biblioteca dei Miei Ragazzi, pag.164), ci si rende conto non solo dello sforzo ricostruttivo a tavolino, quanto della capacità di assemblaggio delle informazioni che si dovettero recuperare per tirarne fuori un canovaccio celebrativo dell’Impero. Osserveremo inoltre che al momento della prima stesura del libro l’Impero non c’era ancora. Il lavoro risale per la gran parte almeno al 1935 e il titolo iniziale doveva essere “Dal Tevere al Giuba”, che sapeva tanto di trattatello geografico.  Anche per le direttive che arrivavano alla Salani dal Miculpop, il medesimo fu mutato per motivi di propaganda in quello più accattivante che oggi conosciamo.  E, quindi, seppur già annunciato nel 1936 (lo rileviamo al numero progressivo 5591 nell’inventario delle Edizioni Salani 1862-1986 effettuato da Ada Gigli Marchetti “Libri buoni e a buon prezzo - Storia dell’Editoria - Franco Angeli), ho tra le mie mani una copia del 1937 che credo proprio sia la prima in commercio, con la copertina di Faorzi e le belle illustrazioni interne di Carlo Chiostri.  Il libro contempla perciò un finale che pare inserito in tutta fretta rispetto alla linea precedente del testo in quanto, dopo parecchie situazioni che ricordavano in qualche modo le infelici guerre coloniali italiane in quella parte del mondo (lo spirito di revanscismo per i fatti militari poco gloriosi della fine dell’ottocento traspare in più parti del romanzo), d’improvviso si parla di suoni tremebondi (i bombardamenti aerei?) con “voci umane che cominciavano a distinguersi, canti di guerra e di vittoria, canti d’Italia!”.  A conferma della nostra opinione, rileviamo a pag.85, in una nota in calce, la seguente precisazione: “Il 6 ottobre 1935, anno XII dell’Era fascista, mentre si scrivevano queste pagine, Adua veniva riconquistata dalle truppe italiane e il 9 maggio 1936, anno XIV dell’Era fascista, dopo le gloriose campagne dei Marescialli Badoglio e Graziani, veniva dal Duce proclamata la fondazione dell’Impero Italiano d’Etiopia. Così si è chiusa la partita”.  Torniamo al nostro volumetto e cominciamo dalla fine, con la chiusa simbolica dell’abbraccio affettuoso dei due giovanetti, il principino della grande nobiltà romana Paolo d’Otricoli e il morettino Sim (a sua volta di stirpe reale, perché discendente dai sovrani dell’Uolamo, staterello fagocitato decenni prima dalla politica espansionista del re dello Scioa, Menelich II) che suggellano, con la loro amicizia, “le due giovinezze, l’italica e l’abissina, non più nemiche ma unite in un poderoso programma di civiltà e di benessere per ambedue i popoli…” Per completare il quadretto, diciamo che queste parole sono pronunciate da un benedicente Padre Giovanni, già Missionario in terra d’Africa, per il trittico Dio/Patria/Famiglia che andava avvalorato anche (e specialmente, direi) nella letteratura per ragazzi. Ma quante ne hanno passate prima, i due nostri eroi! Il principe padre, don Fabio d’Otricoli, è un esploratore e cacciatore, in apparente vacanza in Africa, mentre è in realtà sul posto per studiare le possibilità di un’espansione della Nazione in quelle plaghe (“l’Abissinia potrà essere nel futuro la fulgida perla coloniale da aggiungere al diadema della Patria…tutto questo, non con l’oppressione né con lo sfruttamento delle razze indigene; anzi, con il loro benessere…non all’uso di certe nazioni che si sono creati vasti imperi con l’abbrutimento metodico…ma con metodi più saggi e umani dell’Italia moderna, cioè rendendoci devote le popolazioni). Chissà se in seguito il nostro patrizio sarà venuto a conoscenza dell’uso dell’iprite verso le inermi popolazioni locali e dei metodi feroci seguiti dal Generale Graziani per mantenere sotto controllo quelle comunità nei due anni del suo vicereame! In ogni caso, per noi conta che don Fabio, dopo un aspro combattimento, riesce a salvare il piccolo Sim dai predoni che l’hanno tratto in schiavitù (ovviamente in Africa Orientale negli anni venti c’era ancora quella triste usanza). E’ talmente intelligente, è così aggraziato il bimbetto nero, che viene curato amorevolmente, fatto guarire e sostanzialmente adottato dal principe, che lo conduce nella sua bella villa nella capitale. Qui nasce però una fiera gelosia nei confronti del nuovo arrivato da parte del primogenito Paolo, che rende impossibile la vita al ragazzetto colorato. Per dirla con le parole del Chelazzi, Paolo “non poteva ammettere di porsi alla pari di un ragazzo negro, che era stato anche schiavo. Se nella famiglia gli fosse stato dato il posto di servo, oh, allora non avrebbe trovato difficoltà a trattarlo benevolmente, ma sempre conservando la distanza da servo a padrone”. Ciò, in contrasto con il benevolo paternalismo del principe senior, che invece apprezza quanto il morettino sia buono, docile, sottomesso…un’anima semplice e nobile, che merita ogni riguardo. Durante l’estate si va in vacanza sulle Dolomiti, dove avviene un brutto incidente di montagna che vede coinvolto Sim che precipita in un crepaccio per la rottura di una corda durante una scalata. Si potrebbe quasi sospettare che il tranciamento della fune sia stato causato volontariamente dall’erede d’Otricoli, ma vedremo poi che non è vero. Una volta guarito e tornato a Roma, il protagonista abissino fugge da casa e, dopo molte peripezie, riesce con mille espedienti a raggiungere il posto d'origine, ove è riconosciuto re fanciullo dell’Uolamo. Proseguono intanto le ricerche senza esito da parte dei parenti adottivi e Paolo è sopraffatto dai rimorsi per la mala accoglienza riservata al forestiero. Avuta in qualche modo notizia dal suo precettore Padre Giovanni di un mitico fanciullo re dell’Uolamo, il ragazzo convince genitore e sacerdote a seguirlo in Africa per ritrovarlo, in quanto persuaso trattarsi proprio di Sim. Le rappresentazioni dei paesaggi, della flora e degli animali selvatici non conoscono più freni: pagine e pagine di citazioni, con termini presi in prestito dalle lingue semitiche dell’Etiopia. E poi, presunti tranelli da parte di Hailè Sellassié e dei suoi notabili che prima concedono un lasciapassare e poi abbandonano la spedizione italiana al suo destino in quella terra definita barbara. Facciamo a tempo a conoscere un vero gigante, un guerriero buono di nome Musul Bitana, affezionatissimo all’Italia che seguirà la comitiva, proteggendola, fino alla conclusione del romanzo. Le vicissitudini attraversate sono enormi e sembra che tutti debbano perire allorché (e ci riallacciamo all’inizio del discorso) arrivano i “frengi”, come gli Abissini chiamano gli stranieri, con tanti fucili e mitragliatrici e carri che gettano fiamme e bombe. Chi può resistere loro? Sono tutti salvi, compreso un leoncello quasi domestico che si era affezionato ai ragazzi, in quanto“la forza e la volontà dell’Italia fascista ci ha guidato”. Senza voler eccedere in estremismi fuori tempo e fuori luogo (il testo è stato preso in considerazione persino in un lavoro dal titolo “La divulgazione del razzismo nei testi scolastici, nella letteratura per ragazzi e nelle riviste”, il che appare probabilmente eccessivo), concludiamo  affermando che una rilettura di questi libri, a distanza di 80 anni, non è agevole per l’enorme distanza non solo temporale che ci separa da quel modo di sentire. Ripetiamo tuttavia un concetto: a prescindere dai contenuti ideologici non condivisibili, non si può negare che il Chelazzi fosse un bravo artigiano della penna.

 

Enzo Barone - Salerno

 

 

 

Carlo Chiostri
Alcuni disegni interni del volume BMR "SIM ragazzo abissino". Carlo Chiostri, nato nel 1863 e mancato nel 1939, fu disegnatore fiorentino di buona notorietà. Lo si rileva, tra l'altro, illustratore di una delle prime edizioni del Pinocchio di Collodi. Pittore e acquarellista, collaborò con numerose case, quali la Salani e la Nerbini nell’ elaborazione di copertine di libri e nelle illustrazioni interne.  Clicca sulle miniature per visualizzare le immagini ingrandite

 

 

 

 

 

 

 

 

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Amici Comit News - settembre 2014