Profilo storico della Banca
Commerciale Italiana
dalla tesi di laurea di Rosanna Schiattone (Milano)
"Vittorio Corna promotore della collezione d’arte della Banca
Commerciale Italiana tra la fine degli anni ’40 e gli ‘80"
Anno Accademico 2012-2013
La
storia della Banca Commerciale Italiana è legata alla figura di
Raffaele Mattioli, che vi entra “nel novembre 1925, con la qualifica
di «capo di gabinetto» della Segreteria Toeplitz” e ne esce il 22
aprile 1972, dimettendosi dalla Presidenza, un anno prima della sua
morte.
Quando Mattioli entra alla Banca Commerciale, è un uomo di
trent’anni che si distingue tra i suoi colleghi “per le ampie
conoscenze maturate nell’ambiente imprenditoriale, nel mondo
universitario (soprattutto bocconiano) e nei rapporti con gli organi
di stampa”. La Banca Commerciale, nell’anno 1925, ha sei mesi più di
Mattioli, essendo stata costituita a Milano il 10 ottobre 1894. A
chi gli fa notare questa coincidenza, Mattioli risponde, con
l’ironia salace e colta che lo contraddistingue nei rapporti
interpersonali e negli interventi pubblici, come nelle sue famose
relazioni annuali del Consiglio di amministrazione all’assemblea
della Comit, “di non poter sentirsi coetaneo di una banca perché le
banche, a differenza degli uomini, nascono già adulte”
La nascita della Banca Commerciale Italiana, segue una delle crisi
più gravi del sistema bancario italiano, quella del 1892-1893, che
ritarderà “per un buon pezzo il cammino d’Italia sulla strada dello
sviluppo economico (…) rispetto ai paesi dell’Europa
nord-occidentale”.
A un periodo di espansione della “cantieristica, soprattutto per le
commesse della marina militare” dovute alla nascita dell’industria
siderurgica nazionale, con quella della Terni nel 1884, “si
accompagnano movimenti di popolazione, anzitutto verso Roma, che da
città periferica si trasforma caoticamente in capitale di un grande
regno” con la conseguenza che l’edilizia si presenterà “come un
grande affare, soprattutto per la forte lievitazione della rendita
fondiaria”.
Con la fine del boom
speculativo, che era stato sostenuto incondizionatamente dagli
istituti di credito, “iniziano i fallimenti delle
imprese troppo esposte e con essi le sofferenze bancarie”.
I capitali stranieri vengono ritirati da banche non considerate più
solide, che vedono diminuire la raccolta. I fallimenti raggiungono
prima gli intermediari medio-piccoli, poi le banche più
grandi, come “il Credito Mobiliare e la Banca Generale, posti in
liquidazione tra il 1893 e il 1894. Il trauma è enorme, trattandosi
delle maggiori istituzioni di credito del Paese”.
Tra gli istituti di emissione, la Banca Romana è una delle più
esposte, e nel tentativo di evitare il crollo dovuto alla sua
insolvenza, ricorre anche alla frode, stampando “più banconote con
il medesimo numero di serie”.
In questo scandalo
rimarranno coinvolti anche Crispi e Giolitti.
Si riesce comunque a reagire a questa crisi con elementi di novità,
che creano una svolta nel sistema bancario e lo migliorano. Nel 1893
la Banca d’Italia nasce dalla fusione di tre istituti di emissioni,
secondo una legge di riforma fatta approvare dallo stesso Presidente
del Consiglio Giolitti, facendosi “carico della liquidazione di un
quarto, la Banca Romana” e assumendo in questo modo, già dai suoi
inizi, un carattere di banca centrale.
Dalla crisi del 1893 scaturisce un’altra novità, la «banca mista» di
tipo tedesco, quale sarà la Banca Commerciale Italiana, che nasce
come Società per azioni con “un capitale di 20 milioni di lire del
quale si prevede un aumento sino a 50 milioni. I sottoscrittori sono
tutti stranieri, tranne il conte Alfonso Sanseverino-Vimercati,
nominato presidente, che sottoscrive 100 mila lire. I tre quarti del
capitale sono detenuti in parti uguali da sei grandi banche
tedesche; il resto viene assunto da istituti austriaci e svizzeri. A
dirigere la Banca Commerciale sono chiamati Otto Joel, che aveva
partecipato discretamente al progetto sin dall’inizio, e Federico
Weil, altro tedesco trapiantato in Italia, già direttore della
filiale palermitana del Credito Mobiliare”.
Per questo scorcio di Ottocento, dominato dalla figura di Giolitti,
si parla di un decollo industriale italiano. Lo sviluppo della
cosiddetta seconda rivoluzione industriale guarda alla siderurgia,
alla grande meccanica, alla chimica, all’elettricità, settori che
necessitano di grandi capitali, che sono mancati in Italia. I
finanziamenti necessari per questi progetti vengono dalla banca
mista di tipo tedesco. “Così, la Banca Commerciale – con la minore
sorella-rivale Credito Italiano creata nel 1895 – gioca un ruolo da
protagonista nel processo di rapida industrializzazione che
caratterizza il ventennio successivo alla sua fondazione. E’
significativo che la Banca Commerciale apra un fido alla Edison sin
dal dicembre 1984. Più tardi, nel 1903, la Banca sviluppa
l’interesse verso la siderurgia, e intensifica i rapporti con il
gruppo Terni, i cui programmi di espansione verso la cantieristica,
soprattutto militare, condurranno, nel 1905, alla fondazione
dell’Ilva, verso la quale la Banca Commerciale sarà in rapporto fino
al 1931. La Banca appoggia la costituzione delle Acciaierie e
Ferriere Lombarde (poi Falk). Con la Fiat, dal 1903 in avanti i
rapporti si fanno più intensi. “Nei primi vent’anni di vita, la
Banca concorre alla fondazione di tredici società nel settore
elettrico, di diciotto in quello meccanico, di quattordici in quello
chimico e di altrettante nel comparto tessile. Altre ancora sono
promosse nei comparti minerario, edilizio, cementiero, alberghiero.
Dai 20 milioni iniziali, la Banca Commerciale nel 1914 raggiunge i
156 milioni. Agli aumenti di capitale concorrono anche finanzieri di
varie nazionalità che stemperano il carattere iniziale
prevalentemente tedesco, si aggiungono anche sottoscrizioni italiane
e nel 1901-1902 “all’originario consorzio austro-svizzero-tedesco
rimane meno del 9 per cento del capitale”. La Banca,
prima della sua espansione all’estero, che avviene poco prima
della guerra, ha acquisito una forte connotazione e aperture
internazionali. Da questa posizione di forza non si fa toccare dalla
crisi del 1907 che crea una battuta d’arresto al rapido sviluppo
dell’economia italiana durante l’età giolittiana. La Banca
Commerciale partecipa al salvataggio della Società Bancaria
Italiana, gestito dalla Banca d’Italia, dimostrando “di accettare le
responsabilità verso l’intero sistema che le derivano dall’aver
conquistato la posizione di principale istituto bancario del Paese.
Per mezzo di una maggiore liquidità, durante la crisi che negli anni
successivi investe alcuni grandi gruppi industriali, la Banca opera
il salvataggio della FIAT, dell’intera siderurgia nazionale,
dell’industria tessile, sistemando difficili posizioni di aziende
minori e di singoli patrimoni personali.
Con lo scoppio della guerra in Europa nel 1914 l’Italia è scossa dal
contrasto tra chi vuole l’intervento e chi difende la neutralità. La
Banca Commerciale viene trascinata in un vortice furibondo di accuse
e di insinuazioni quale «banca tedesca», strumento della
penetrazione, non solo economica, della Germania in Italia, anche se
gli interessi nel capitale della Banca sono minimi,
essendo ormai in mani italiane. Le ostilità verso la Banca da parte
degli ambienti legati al nazionalismo interventista sono provocate
anche a causa delle sue simpatie giolittiane e neutraliste. Con il
prevalere dell’interventismo la Banca Commerciale si vede costretta
a sacrificare i due amministratori delegati, Joel e Weil, e i
consiglieri d’amministrazione cittadini di paesi
belligeranti sull’altare di una formale «italianità».
Nella
primavera del 1918 la Banca Commerciale, sotto la guida di Giuseppe
Toeplitz, nato a Varsavia da una famiglia della borghesia ebraica,
respinge un tentativo di scalata da parte dei fratelli Perrone
appoggiati dal gruppo Ansaldo.
La maggioranza della Banca difende così la sua indipendenza da
singoli forti interessi e, soprattutto, da quelli delle imprese
industriali.
I quattro anni successivi alla guerra vedono la più grave crisi
italiana che coinvolge la società, la politica e l’economia, che si
manifesta con la disoccupazione, l’inflazione e disorganici
tentativi di riconversione industriale che prostrano grandi gruppi
industriali quali l’Ansaldo e l’Ilva e l’assenza di regole per il
mercato del credito che mettono in ginocchio potenti istituti quali
la Banca Italiana di Sconto e il Banco di Roma.
La Comit riesce a respingere un secondo tentativo di scalata da
parte dei fratelli Perrone, che rappresenta l’unica possibilità di
salvezza per l’Ansaldo.
Ancora una volta la Banca riesce a preservare la sua indipendenza e
il suo carattere di banca mista italiana. Mentre la sopravvivenza
dell’Ansaldo é garantita dal governo e dalla Banca d’Italia, la
Banca Commerciale è direttamente impegnata nel salvataggio del
gruppo Ilva e si impegna nelle riorganizzazioni industriali della
Terni e della Montecatini.
Superata la crisi del 1920-21, l’economia italiana si avvia
nuovamente lungo un sentiero di crescita che prosegue, a ritmo
piuttosto brillante, almeno sino alla rivalutazione della lira nella
seconda metà del 1926.
Con la ripresa degli
investimenti aumenta la domanda di credito bancario e si espandono
rapidamente le concessioni di fidi a imprese industriali e la Banca
torna ad essere il punto di riferimento finanziario di un vigoroso
sviluppo industriale.
Con la rivalutazione della moneta italiana voluta da Mussolini tra
il 1926 e il 1927, la «quota novanta» (Si
indica con quota novanta la rivalutazione della moneta italiana da
un cambio di 150 lire per sterlina a circa 90, il valore pari a
quello esistente ai tempi della marcia su Roma), si rende
necessaria una politica di forte deflazione. Anche la dirigenza
della Banca Commerciale, benché sia favorevole come quasi tutti gli
economisti alla stabilizzazione della moneta e alla reintroduzione
della convertibilità aurea, è contraria a una forte rivalutazione
della lira, temendo i gravi effetti negativi che questo porterà alle
imprese e di conseguenza ai bilanci delle grandi banche. Durante il
1927 i livelli di attività sono fortemente depressi; la successiva
ripresa è piuttosto fiacca: i tassi di crescita del periodo
1922-1925 restano un pallido ricordo.
La Banca Commerciale, che più delle altre grandi aziende di credito
aveva appoggiato lo sforzo di crescita delle imprese, si trova a
essere la più esposta agli effetti negativi della congiuntura creata
da quota novanta.
Quando nel 1929 avviene il crack di Wall Street, anche in Italia “la
crescita industriale rallenta e la borsa subisce un primo
contraccolpo e le imprese che si stavano riprendendo dagli effetti
della politica deflattiva del 1926-27, vedono nuovamente contrarsi
il volume d’affari e la redditività.
Le banche si trovano
con le mani legate e in particolare la Banca Commerciale, che
dispone del pacchetto di controllo di numerosissime imprese, tanto
che importanti fallimenti avrebbero effetti disastrosi sul conto
patrimoniale. Viene quindi rinnovato il sostegno alle imprese con un
ulteriore rigonfiamento del portafoglio azionario della Banca
Commerciale, che spera
in una tenuta dei depositi e in un rapido volgere al bello della
congiuntura.
Nella seconda metà del 1930 la grave crisi bancaria negli Stati
Uniti accelera la fuga dei capitali americani dall’Europa.
Con la crisi della
Creditanstalt di Vienna nel maggio 1931, a cui segue nel luglio il
collasso dei grandi istituti tedeschi, si assiste al crollo del
sistema della banca mista in Europa.
I capitali stranieri
in Italia vengono ritirati freneticamente cosicché nei mesi estivi
la Banca d’Italia deve fornire alla Comit i mezzi in valuta per
fare fronte ai propri obblighi impedendole di cadere nel baratro
dell’insolvenza.
Il ruolo di Raffaele Mattioli, che sarà decisivo per l’economia e
per la società italiana nei suoi momenti cruciali, inizia con il suo
contributo al salvataggio della Comit nella crisi che, iniziata dal
1929, continua a perdurare nel 1931, quando è ormai chiaro che la
Banca Commerciale non può sopravvivere con le sole proprie forze.
Nello stesso anno Mattioli, “promosso direttore centrale e preposto
al Servizio Finanziario, prepara per Mussolini l’appunto,
formalmente attribuito all’amministratore delegato unico Giuseppe
Toeplitz, «Per la regolamentazione dell’economia italiana», in cui
prospetta l’introduzione di un’economia regolata, «che, senza essere
un’economia statizzata e pur non soffocando, anzi assecondando lo
sviluppo dell’iniziativa privata, (…) permetta allo Stato … di
organizzare e controllare dal di dentro la vita della
produzione dei cosiddetti beni strumentali, indirizzandola e
sviluppandola in base a un piano …».
Con questo piano di intervento dello Stato a favore della Banca,
Toeplitz e Mattioli si recano da Mussolini.
fine prima puntata -
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