Una lettera di Roberto Sardi (Alessandria) a Corrado Passera (già comparsa su Facebook)
 
Egregio Dott. Passera, La recente “indagine di clima” effettuata tramite l’intranet aziendale, mi ha stimolato e dato il coraggio di scriverle. Infatti, ritengo che il questionario debba anche essere integrato da testimonianze dirette.
L’adesione al fondo di solidarietà, dalle indiscrezioni, pare abbia avuto successo. I colleghi che hanno maturato i requisiti se ne vogliono andare.
Ciò vuol dire che il personale è scontento. Un’azienda di servizi, come la nostra, si basa principalmente sulle risorse e su di un sistema informativo eccellente. Purtroppo, da più di due anni entrambi i punti forza si sono indeboliti, l’azienda stenta a
riprendersi.
La cessione di partecipazioni per le quali non c’era sovrapposizione di sportelli o di immobili storici, è vista come una vendita dei gioielli di famiglia per sistemare il bilancio e per accontentare nell’immediato i soci.
Il lungo periodo di instabilità ha influito moltissimo sulle relazioni con la clientela, tutti i marchi hanno perso quote di mercato quando dovevano almeno mantenere le posizioni. I Gestori devono operare su tre sistemi informativi (anche se due simili) e con prodotti diversi. L’insicurezza dei Gestori, ma anche di tutti i collaboratori che trattano direttamente con i clienti, è trasparente. Mancano punti di riferimento, sia alla clientela, sia al personale.
Perché il personale è scontento? A mio parere i motivi sono diversi. Non ci sono obiettivi individuali, spesso non si ha più un ruolo, sono stati sciolti gruppi affiatati che lavoravano con buona produttività, si vive in un clima di precarietà ed insicurezza, è
difficile progettare il futuro. Si impiegano le risorse sulla base di piani fatti solo sulla carta, con informazioni non sempre sicure o aggiornate ed in relazione a progetti non sempre approfonditi in ordine alle conseguenze. Spesso i ruoli di responsabilità vengono coperti solamente in base alle relazioni personali. Chi deve gestire le risorse si limita ad amministrarle, non conosce i profili, non dialoga con loro, non prende in considerazione le esperienze, persegue obiettivi di breve periodo. Nei posti chiave
vengono inserite risorse esterne, che nonostante le capacità corrono il rischio di ripetere errori del passato senza capitalizzare le esperienze bancarie precedenti.
Porto ad esempio la mia posizione. Dopo vent’anni all’Internal Audit nella ex Comit, dove ero responsabile del Coordinamento, sono stato fra i primi ad essere distaccato a Banca Intesa, al Program Management Office, creato appositamente per l’integrazione. Eravamo stati indicati come risorse scelte per essere il catalizzatore della nuova azienda federata. Mentre ci si illudeva di lavorare ad un progetto importante, il piano d’impresa è cambiato e le strutture appena create sono state smantellate e ricreate. Al P.M.O. è venuto a mancare lo scopo istituzionale e ora sono assegnato alla Direzione Risorse Umane e Organizzazione senza un ruolo preciso.
Per curiosità, ho esaminato l’ultimo organigramma della Direzione Auditing Interno ed ho notato che delle 23 caselle una sola è occupata da un ex Comit (che peraltro ha maturato i requisiti AGO e se ne andrà in pensione), per cui anche il desiderio di
tornare al mio ufficio di provenienza è scemato, perché dovrei ripartire da zero.
Sarebbe un esercizio interessante verificare la provenienza di tutti i dirigenti/quadri delle diverse strutture in relazione alla provenienza del responsabile. Siamo sicuri che non c’è discriminazione? Si desidera veramente unire le tre anime di questa azienda? C’è coerenza anche nei fatti oltre che nelle parole?
Dopo aver raggiunto il grado di vicedirettore ed un ruolo di responsabilità anni fa in Comit, è anche difficile spiegare la situazione attuale a famiglia ed amici, e questo pesa psicologicamente. Cerco di essere ben disposto al cambiamento, mi ripeto che ho svolto nuove attività e che mi sono arricchito, cerco di convincermi che la situazione migliorerà. La realtà - che quest’anno non ci sarà né VAP né bonus, che ho un ruolo assegnato d’ufficio, che ho perso professionalità, che non intravedo un futuro migliore -
mi trascina a volte nel pessimismo. Non mi sento responsabile di alcunché, perché ho fatto quello che l’azienda mi ha chiesto, ed il risultato è sconfortante. A cinquant’anni sono troppo giovane per andare in pensione e mi sento troppo vecchio per
ricominciare!
Penso che di situazioni analoghe e di colleghi che la pensano come me ce ne siano molti. L’indagine di clima non può far piena luce su queste posizioni, che a lungo andare indeboliscono l’azienda.
Lasciando da parte i problemi personali, parliamo un po’ di responsabilità.
Capisco che era necessario sostituire una classe dirigente interna troppo legata alle proprie aziende di provenienza, che il CEO debba circondarsi di persone di fiducia, di una squadra affiatata, che i consulenti possono anche servire e formulare qualche idea
innovativa, che la classe degli ex funzionari (ma anche quella dei dirigenti) è costosa e che è opportuna qualche modifica per essere più competitivi anche a livello europeo, che era necessario aprire maggiormente ai giovani, che è indispensabile ridurre i costi e che i soci si aspettano risultati.
Quello che non capisco sono le modalità ed i tempi per raggiungere questi risultati.
Dobbiamo infatti subire le conseguenze di una fusione anticipata delle banche: un peccato originale. Era talmente evidente che bisognava prima uniformare i sistemi informativi, i prodotti e parlare tutti la stessa lingua, che non si possono accettare neppure delle scuse. Non si può parlare di errori in buona fede.
Marco Vitale, alcuni mesi fa, in un articolo sui problemi della Fiat ha richiamato un paragrafo della “Quadragesimo Anno” (di Pio XI, del 1931) che dice: “Nello stabilire la quantità della mercede si deve tenere conto anche dello stato dell’azienda e
dell’imprenditore di essa; perché è ingiusto chiedere esagerati salari quando l’azienda non li può sopportare senza la rovina propria e la conseguente calamità degli operai.
E’ però vero che se il minor guadagno che essa fa è dovuto ad indolenza, a inettitudine e a noncuranza del progresso tecnico ed economico questa non sarebbe da stimarsi giusta causa per diminuire la mercede degli operai”. Questo passaggio della moderna dottrina sociale della Chiesa esprime il concetto che l’impresa ha i suoi equilibri e che questi vanno rispettati da tutti, dai dipendenti ma anche dall’imprenditore. Questo è anche il mio pensiero. Sono d’accordo di non parlare più degli errori del passato, ma contemporaneamente non ci si può dimenticare di questa distruzione di valore (il rischio strategico dell’acquisizione di Comit, la gestione della integrazione/fusione warrant put incluso, le soluzioni organizzative avallate, ecc.). Un esperienza, non positiva, da studiare all’università.
Mi scusi per lo sfogo e per le cose ovvie che ho scritto. Non desidero una risposta circostanziata, sarei solo contento di sapere che questa mia testimonianza non è andata persa.
Spero che l’azienda, sotto la sua direzione, trovi le forze per superare ogni difficoltà ed ottenga i risultati del piano d’impresa.
La saluto cordialmente.
Milano, 7 marzo 2003 Roberto Sardi
Direz. Risorse Umane e Organizzazione
Organizzazione - Progetto Estero Merci

 

 

 

Segnala questa pagina ad un amico




 

 

Amici Comit News - settembre 2014