VERSO BARCELLONA 04 giugno lunedì
Al mattino partenza per Barcellona. Durante il viaggio in pullman ecco che ad un tratto, attraverso i finestrini, vediamo là su un’altura, ben stagliato, nero, grande, il Toro di Osborne. E’ nato cinquant’anni fa e la Spagna quest’anno celebra con tutti gli onori questo suo simbolo nato per caso, cresciuto anno per anno nella simpatia popolare. In Catalogna però l’ultimo toro, vittima dell’astio di un gruppo di indipendentisti, è caduto tre mesi fa decapitato e imbrattato con una scritta più che esplicita: “Puta España”. Ce ne sono comunque più di novanta sparsi ancora per tutto il resto del territorio: sagome nere imponenti che dominano il paesaggio brullo della campagna spagnola. Pubblicità che diventa tradizione, immagine commerciale che si trasforma in icona di un paese, il Toro di Osborne nasce dall’intuizione dell’agenzia pubblicitaria Azor che commissiona all’artista Manoleto Prieto un disegno destinato al lancio commerciale del brandy “Veterano”. All’inizio i tori nascono di legno e più bassi ma, siccome una nuova legge stabilì che gli annunci pubblicitari dovevano essere collocati ad almeno 125 metri di distanza dalla strade, allora i tori anzitutto vennero fatti in metallo per evitare che si deteriorassero e poi crebbero man mano di misura affinché si notassero meglio, e la loro presenza si fece sempre più incombente arrivando all’altezza di 14 metri. Una nuova legge nel 1988 proibì ancora qualunque tipo di annuncio commerciale sulle autostrade pubbliche spagnole. Allora Osborne cancella sui tori con pennellate nere la scritta “Veterano” ma lascia al loro posto i tori diventati ormai tradizione popolare. Nel ’94 ancora il “regolamento delle strade” dispone il ritiro di tutte le imponenti sagome metalliche. Troppo tardi. Il Toro di Osborne era ormai divenuto simbolo consolidato della Spagna “cañì”, cioè autentica e popolare, come la paella, le tapas o la corrida. Più tardi infatti il Parlamento ha riconosciuto il carattere “culturale e artistico” dei tori di Osborne.
In mattinata visita del
Monastero
cistercense di Poblet
costruito fra il XII e il XVIII sec. su un’altura con un
misto di arabo di gotico e di barocco.
Nel chiostro romanico-gotico capitelli istoriati e trifore gotico-catalane.
Nel Museo vetri, ferri, capitelli istoriati e trifore gotiche
catalane. Non manca una ricca biblioteca del XIII sec. Su una piccola
pietra tombale l’immagine di un macellaio al lavoro, perché le pietre
tombali rivelavano così il mestiere della persona sepolta. Il nome Poblet
viene dal latino Populetum (pioppeto) per i boschi vicini. Pietro III
sovrano della confederazione catalano-aragonese fece del Monastero il
Pantheon reale.
Sosta per un veloce spuntino in un autogrill.
Di nuovo in pullman verso Barcellona abbiamo ammirato da lontano la bella Montagna del Montserrat (m 720), selvaggia e rocciosa Montserrat = montagna segata, perché ha un crinale accidentato con rientranze e punte). L’aspetto del sito diede l’impulso finale alla conversione di Ignazio di Loyola (sec.XVI) e a Richard Wagner l’ispirazione per la sua ultima opera, il “Parsifal”. Su quel monte oltre a un Monastero c’è la Basilica di Santa Maria che racchiude sopra l’altare nel ricchissimo “camarin” la statua romanica (sec.XII) della Madonna Nera detta Morenita, patrona della Catalogna.
Pomeriggio arrivo a Barcellona capoluogo della Cataloña, forse di fondazione focese. Fu conquistata dai Cartaginesi nel 236 a.C. che le diedero il nome di Barcino (i Barca erano la famiglia reale di Cartagine, Amilcare, Annibale Barca). In epoca romana fu chiamata Julia Faventia Augusta Pia Barcino capoluogo della Laietana. I Visigoti la chiamarono Barcinona. Fu conquistata dagli Arabi, e poi un secolo più tardi da Carlo Magno divenendo contea vassalla. Ma i catalani continuarono a lottare sempre per la loro autonomia pagando tributi di sangue. Da quello versato dal mitico Conte Guifrè el Pilos (Goffredo il Peloso) nacque la bandiera nazionale : l’imperatore franco aveva immerso con crudeltà le dita nelle ferite del nobile Goffredo, colpito a morte nel IX sec. combattendo contro gli arabi, e le sfregò sul suo scudo d’oro tracciando le Quatre Barres, che poi divennero il simbolo della bandiera catalana, la più antica d’Europa. Nell’858 Barcellona divenne ereditaria e indipendente. Il matrimonio di Petronilla regina d’Aragona con Raimondo Berengario IV conte di Barcellona unisce però per sempre la città al potente regno d’Aragona. Dopo l’unione dell’Aragona con la Castiglia (1479 - matrimonio di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona) la Catalogna viene privata del tutto della sua indipendenza e autonomia culturale specialmente quando anche la sua lingua fu esclusa dalla vita ufficiale e i catalani dovettero usare lo Spagnolo che per loro era una lingua straniera¹.
Con la scoperta dell’America e l’unificazione di tutta la Spagna lo splendore di Barcellona crolla ancor di più. La città fu danneggiata in particolare dallo spostamento dei traffici dal Mediterraneo all’Atlantico,
importante causa, anche questa, del separatismo catalano. Nel 1931 fu proclamata la Repubblica popolare catalana ma poi sottomessa dalle truppe di Franco perde di nuovo l’ autonomia. Dopo Franco le cose cambiano. Nel 1978 la Catalogna riebbe l’autonomia e Barcellona divenne sede della Generalitat de Catalunya (Parlamenti e Governi autonomi).
Ricuperata l’identità culturale, non solo si comincia a insegnare nelle scuole la lingua catalana ma Barcellona vuole anche ritornare agli antichi splendori e lotta per la campagna “Barcelona posa’t guapa” (Barcellona fatti bella). In effetti dobbiamo dire che ci è riuscita in pieno!
Prima sosta sul Montjuïc, un colle di 212 m. che a suo tempo fu dichiarato Juppiter dai Romani col nome di Mont Jovis (anche se qualcuno vuole che l’origine del nome derivi da Mont Judaicus, monte degli ebrei). Qui hanno avuto sede i principali centri per i Giochi Olimpici del 1992, qui si trova il Museo Nazionale d’arte di Catalogna, qui il “Pueblo Español” un paese artificiale con palazzi, chiese, piazze, strade ecc, qui un Teatro greco, qui la Fundacion Joan Mirô. Non abbiamo visto niente di tutto questo per mancanza di tempo, soltanto abbiamo ammirato, incuriositi, le statuine in cerchio nell’atto della danza tipica catalana la Sardana poste al centro di un grande spiazzo dalla cui balconata stupefatti, abbiamo ammirato lo stupendo panorama di Barcellona dall’alto con il Monte Tibidabo a ovest, al centro, piccolissimi da quell’altezza, i pennacchi della Sagrada Familia e più a ovest il suppostone(!), insegna della società dell’acqua Axar, alto come un grattacielo. (Davvero, sembra proprio una enorme supposta!)
Naturalmente, d’obbligo subito dopo, scesi da Montjuïc (sempre in pullman ma sarebbe stato più bello e con vista più panoramica scendere con la teleferica che da Montjuïc porta giù al porto), la passeggiata per le Ramblas, il famoso grande animatissimo viale di platani (diviso nella sua lunghezza in cinque parti con diversi nomi), formato nella larghezza da un largo marciapiede al centro e due strade ai lati per i veicoli, e che dalla grande Placa de Catalunja (dove fra imponenti edifici spicca in stile coraggiosamente moderno l’edificio del grande magazzino “ El Corte Inglès) arriva a La Placa de la Porta de la Pau dove si vede al centro un’alta colonna con sopra la statua di C. Colombo (poco più in là la famosa caravella di Colombo)
Il grande marciapiede centrale delle Ramblas è animato da venditori di fiori e di uccelli, e non mancano bancarelle di altre merci, e chioschi di giornali, e mimi, e attori di strada, e una miriade di turisti. Acquisti in un emporio: l’abito da spagnola per Cati ed espadrillas.
Dalla Placa de la Porta de la Pau si stacca verso ovest l’Avinguda del Paral-lel tracciata in esatta corrispondenza del 39° parallelo. Tra il Paral-lel e le Ramblas si estende il Barri Chino, quartiere cinese, un tempo malfamato e oggi del tutto o quasi risanato. A sud della Placa de la Porta ecco la popolare Barceloneta, pittoresco quartiere di pescatori animato da un’infinità di piccole trattorie. In una di queste la sera abbiamo cenato, finalmente non in hotel, a base di pesce, paella e cozze. Dopo cena in pullman Barcelona by night, però io e Maria abbiamo interrotto il giro verso il villaggio olimpico per andare, con un gruppetto di altri compagni di viaggio, a vedere il flamenco in un locale della rambla: “El Cordobes”. Simpatico spettacolo piuttosto autentico, e buona sangria.
A letto intorno alle due di notte.
¹) Il catalano invece è una lingua vicina al provenzale e quindi una lingua romanza, però nella fonetica, non nella grafia. La morfologia è complicata dal sopravvivere nella lingua letteraria di forme arcaiche o regionali. Ci ricorda il catalano di Alghero il quale però è rimasto allo stadio di dialetto.
Amici Comit - giugno 2014